Infuriati per un quadro intitolato “Allah” che ritraeva alcune formiche, un gruppo di salafiti tunisini ha assalito con bombe molotov l’Istituto Superiore di Belle Arti, scatenando poi disordini nel resto del Paese. In tutta risposta, il ministro della Cultura, Mehdi Mabrouk, pur difendendo la creatività artistica, ha dichiarato che la mostra non rispettava i valori dell’Islam e poteva essere considerata una “provocazione artistica”. La vicenda è avvenuta il 10 giugno scorso, ma gli echi polemici della vicenda non si sono ancora sopiti, in quanto mettono in discussione i risultati raggiunti dalla Primavera araba nel Paese da cui ha avuto origine. Un artista tunisino i cui quadri sono stati distrutti dai salafiti ha dichiarato all’AFP: “Quando ho ascoltato le dichiarazioni del governo mi sono sentito come se fossi sotto processo per la mia libertà, ma non mi potessi difendere in alcun modo. E’ come se mi avessero tagliato le mani. Sono così arrabbiato e contrariato”. Ne parliamo con Giacomo Fiaschi, imprenditore italiano da 12 anni a Tunisi dove svolge anche il ruolo di consulente politico di Ennhada, il partito di maggioranza relativa in Parlamento.



Che cosa ne pensa del fatto che i salafiti abbiano preso di mira l’Istituto Superiore di Belle Arti, simbolo dell’espressione culturale del popolo tunisino?

Il fatto che non solo i salafiti ma nessun musulmano credente e praticante, non apprezzi la rappresentazione ingiuriosa dei personaggi dell’islam, in particolare del Profeta Maometto, non è certo un mistero. Anche in Europa abbiamo assistito, qualche tempo fa, ad un episodio analogo, che ha causato reazioni violentissime, ben peggiori di quelle alle quali abbiamo assistito in Tunisia.



Ma l’arte non dovrebbe essere per definizione “libera”?

E’, anche in questo caso, una questione di scelte precise da parte di chi ha intenzionalmente agito in tal senso, provocando una reazione, sulla quale diventa facilissimo innescare, attraverso persone assoldate per infiltrarsi nelle manifestazioni di protesta, episodi di vandalismo. Lo scopo ultimo è sempre lo stesso: delegittimare non tanto e non solo il governo attuale, ma in generale l’attuale assetto democratico definito nel quadro di una democrazia parlamentare così come ha fatto la seconda commissione dell’Assemblea Costituente nella cosiddetta “petite constitution” approvata dal Parlamento nel novembre dello scorso anno dopo le elezioni del 23 ottobre 2011.



Com’è la situazione a Tunisi dopo le violenze dei giorni scorsi?

Occorre, a questo proposito, fare un po’ di chiarezza. Le violenze di questi giorni appaiono originate da piccole bande di vandali, molto verosimilmente ingaggiati da qualcuno allo scopo di mantenere elevata la tensione sociale. I riferimenti ideologici, di qualsiasi tipo (salafiti, estremisti dell’una o dell’altra parte), che collegano questi atti di vandalismo ad organizzazioni politiche religiose sono, in tutta evidenza, precostruiti per essere prontamente sbandierati poi attraverso il tam-tam di media. Illuminante, a questo proposito, la vicenda del bar “incendiato” a La Marsa all’inizio della settimana. Un saldatore che stava eseguendo un lavoro all’interno di un bar in ristrutturazione ha accidentalmente indirizzato la fiamma ossidrica su una poltroncina imbottita. A quanto pare il tentativo di spengere il fuoco con dell’acqua ha peggiorato la situazione e in pochi minuti si è sviluppato un principio di incendio che fortunatamente non ha causato vittime. Tanto è bastato affinché immediatamente televisione nazionale, radio e stampa denunciassero la devastazione di un bar da parte di bande di salafiti. Le manifestazioni previste per oggi sono state annullate dalle autorità di governo per evitare che possano prestarsi ad essere sfruttate sia come occasione di ulteriori polemiche sia come terreno di battaglia nel quale infiltrare qualcuno assoldato per compiere atti vandalici ai danni di vetrine, auto e negozi.

 

Per quale motivo i salafiti tunisini hanno dato vita a manifestazioni violente?

 

Anche a questo proposito è necessario riportare la verità dei fatti. In questo momento centinaia di salafiti tunisini sono impegnati come volontari in soccorso alla popolazione investita da una emergenza drammatica della quale i media non parlano: il ritiro della spazzatura che viene sistematicamente bruciata in discariche a cielo aperto nei quartieri della periferia nord, in particolare a Ettadamen, dove vivono ottocentomila persone in un territorio di diciotto chilometri quadrati, una delle mostruosità ereditate dal regime del dittatore Zine El Abidine Ben Alì e di quanti hanno collaborato con lui allo scempio di un Paese messo in ginocchio da una dittatura scellerata. Gli episodi di violenza che in passato hanno visto in primo piano i salafiti, indicati come autori di atti vandalici, di intimidazioni e di aggressioni fisiche, si sono rivelati delle grottesche messe in scena da parte di chi auspica il ritorno della dittatura agitando lo spettro dell’islamofobia. Un episodio per tutti: quando l’anno scorso, fu dato assalto al cinema Africa dove veniva proiettato il film “Ni Dieu ni Maitre”, intervenne la polizia per disperdere gli autori degli atti vandalici, in apparenza salafiti. Dopo l’intervento della polizia furono rinvenute sull’asfalto numerose barbe finte. Di questo i media non parlarono.

 

Dietro a quanto è avvenuto si può leggere un’influenza straniera, che punta a destabilizzare la Tunisia?

No, nella maniera più assoluta. Gli episodi di vandalismo costruiti e organizzati ad arte per essere attribuiti a fazioni estremiste appaiono sempre più chiaramente, anche agli occhi della stessa opinione pubblica, almeno in Tunisia, di origine interna, e ricollegabili per lo più a lobbies legate al vecchio RCD (il partito di Ben Alì) e al milieu della borghesia tunisina che vorrebbe perpetuare il vecchio “status quo” grazie al quale, mediante il controllo sostanziale, diretto e indiretto di Banca Centrale, STEG (energia elettrica), Sonede (acqua), delle società di telecomunicazioni e dei trasporti, veniva spartita una ghiotta torta. Un privilegio, questo, che solo un dittatore, ovvero da queste parti un presidente di una repubblica presidenziale, potrebbe ancora garantire.

 

Ritiene che il danno di immagine al Paese possa portare a un tracollo del settore turistico?

 

Il tanto decantato turismo in Tunisia è in buona parte un bluff. Lo sanno bene quanti hanno scelto di trascorrere, specie negli ultimi venti anni, le loro vacanze da queste parti. Gli alberghi costruiti sulle spiagge del litorale tunisino, spesso in barba a qualsiasi norma di rispetto per l’ambiente, rappresentavano un business fine a se stesso e non certamente un investimento per un turismo programmato su basi serie. Pare che non di rado avessero lo scopo di favorire il riciclaggio di denaro sporco. Il turismo in quest’anno ha mostrato segni di ripresa e, soprattutto, stanno arrivando turisti più interessati a vedere da vicino questa transizione democratica che a lasciarsi abbronzare su una spiaggia.

 

Ben Alì è stato condannato all’ergastolo per i morti durante le rivolte di un anno e mezzo fa. Che cosa ne pensa di questa sentenza?

 

La responsabilità diretta di Zine El Abidine Ben Alì è stata dimostrata in modo inequivocabile. I fatti del gennaio 2011 sono avvenuti sotto gli occhi di tutti e le testimonianze raccolte non lasciano dubbi. Il processo è stato celebrato in modo assolutamente equo e con tutte le garanzie che un regime democratico deve offrire in uno stato di diritto. Considerando, infine, il fatto che nel paese vige ancora la pena di morte direi che la sentenza è stata clemente.

 

(Pietro Vernizzi)