“Tutti devono sapere che la nostra amicizia è preziosa ma che la collera della Turchia può essere terribile”, ha detto in Parlamento il premier Recep Tayyip Erdogan parlando ai deputati del suo partito Akp. L’abbattimento del jet turco da parte della contraerea siriana “non rimarrà senza risposta” e per questo da oggi in poi la Turchia “risponderà a ogni violazione del confine” con la Siria: “Ogni infrazione delle leggi sul nostro confine avrà una risposta – ha assicurato Erdogan -. Ogni soldato che si avvicina al confine turco sarà trattato come una minaccia”. IlSussidiario.net prova ad analizzare quanto accaduto e ipotizzare eventuali scenari futuri insieme all’ex generale Carlo Jean, esperto di strategia militare.



Jean, cosa ne pensa?

Quanto accaduto dimostra a mio avviso un forte nervosismo della difesa contraerea siriana e, probabilmente, anche la volontà del governo di flettere i muscoli e inviare un messaggio alla Turchia che, come è noto, sostiene il Consiglio Nazionale Siriano e che sembra abbia inviato armi all’esercito della Siria libera. Di conseguenza il governo ha preso la decisione, volutamente o nel rispetto di rigide regole di ingaggio, di abbattere l’aereo turco.



E’ possibile adesso immaginare un’azione militare contro la Siria?

E’ un’ipotesi piuttosto improbabile. La Turchia, rivolgendosi al Consiglio Atlantico nella riunione straordinaria degli ambasciatori tenutasi nei giorni scorsi, ha evocato l’articolo 4 del Trattato di Washington, che porta a una consultazione in caso di eventi che possono minacciare la sicurezza del paese. Diverso sarebbe stato se avesse invece evocato il quinto articolo, in cui si chiede di riconoscere l’atto di provocazione a cui rispondere anche con l’impiego della forza armata. In questo caso dunque la Turchia è stata piuttosto cauta.   



Come mai considera improbabile un intervento turco?

Un attacco è difficilmente immaginabile per diversi motivi. E’ la stessa Turchia a non volerlo, consapevole di andare incontro al rischio di infiammare l’intero Medio Oriente. In secondo luogo, qualora decidesse di intervenire, teme di dover rompere i rapporti con l’Iran, con cui ha ancora relazioni abbastanza buone, nonostante siano in rapido deterioramento a causa della presenza sempre maggiore della Turchia nel Kurdistan irakeno. Infine la Turchia vuole evitare il rischio che nella zona abitata dai curdi in Siria si crei una regione autonoma che possa successivamente unirsi a quella del nord dell’Iraq: significherebbe creare uno Stato curdo che finirebbe per mettere in difficoltà la politica che Erdogan sta applicando per giungere a compromessi nella normalizzazione dei rapporti tra la popolazione di etnia curda e turca.

Quanto è invece probabile un intervento degli Stati Uniti?

Anche questa ipotesi credo sia piuttosto improbabile. Se gli Stati Uniti volessero attuare una dimostrazione di forza nei confronti della Siria sposterebbero immediatamente dei gruppi portaerei e anfibi nel Mediterraneo, cosa che invece ancora non è accaduta, almeno da quanto abbiamo appreso fino ad oggi. Inoltre l’America non farebbe niente senza l’appoggio della Turchia, e di conseguenza anche l’Europa non muoverebbe un dito.

In caso di intervento come potrebbe reagire a suo giudizio la Russia?

La Russia non potrebbe certamente reagire, ma dovrebbe subire un eventuale attacco. Potrebbe protestare e adottare diverse misure in altri settori, ma non potrebbe fare altro. Sotto questo punto di vista è infatti molto interessante la visita che il presidente Putin sta facendo in Israele e Giordania in cui sicuramente si parlerà della questione siriana.

 

Qual è la posizione di Israele?

Israele è tutt’altro che convinto di ostacolare Assad, perché teme che in Siria possa arrivare un regime fondamentalista sunnita che sarebbe certamente molto più pericoloso rispetto all’attuale regime.

 

Per l’America sarebbe possibile intervenire in Siria con un approccio simile a quello dimostrato in Libia?

Un’eventuale operazione in Siria sarebbe ben più difficile. La Libia è un paese praticamente isolato, vicino al mare, e proprio per questo può essere colpito abbastanza rapidamente da forze schierate proprio sul Mediterraneo.

 

Invece la Siria?

La popolazione della Siria è innanzitutto quattro volte quella della Libia e inoltre ha un esercito molto più forte. Credo anche che i sostenitori di Assad siano molto superiori rispetto a quello che viene comunicato in Occidente: una gran parte della popolazione lo combatte, ma c’è tutta un’altra parte a cui il regime va più che bene. Da un punto di vista militare e strategico, un intervento Usa richiederebbe lo schieramento di grandissime forze, perché l’esercito siriano rappresenta uno dei maggiori pilastri del regime, cosa che invece non era in Libia. Anzi, Gheddafi guardava al proprio esercito con molto sospetto e preoccupazione perché temeva che potesse esautorarlo dal potere.

 

Che ruolo avrebbe l’Italia in caso di un intervento in Siria?

L’Italia non potrebbe di certo chiamarsi fuori. La nostra forza anche internazionale risiede nella solidarietà nei confronti degli alleati, che comporta quindi anche un allineamento alle decisioni che potrebbero eventualmente prendere gli Stati Uniti e gli altri alleati europei. Un altro aspetto da considerare è che l’instabilità della Siria si potrebbe ripercuotere su quella del Libano, paese che ci vede direttamente coinvolti, avendo inviato un migliaio di soldati nella sua zona meridionale. In conclusione, credo che l’aspetto più rilevante sia conoscere gli argomenti discussi durante la visita di Putin in Israele, da cui potrebbero emergere diverse novità.

 

(Claudio Perlini)

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