Uno studio del ministero della Sanità inglese rivela dati choccanti. Il numero delle adolescenti, quindi minorenni, che praticano l’aborto a ripetizione è in continuo aumento. Nel 2010 le ragazzine sotto i 18 anni che lo hanno praticato sono state 38.269 (un dato fortunatamente in diminuzione rispetto all’anno precedente, quando erano state 40.067), ma il numero di quelle che lo hanno messo in atto più di una volta è aumentato del 5%. Due dati entrambi impressionanti: l’alto numero dei casi e il fatto che ben 5.300 ragazzine lo hanno praticato per due volte. Sono 485 invece quelle che sono ricorse all’aborto per tre volte nel corso della loro breve esistenza. Tutto questo a fronte di una campagna di prevenzione che nel Regno Unito arriva a toni martellanti, tanto che lo scorso Natale il governo della Regina aveva regalato a ogni famiglia con figli confezioni di pillole del giorno dopo. Senza contare la distribuzione anche gratuita di contraccettivi in tutte le scuole. Dati, dunque, che dimostrano il totale fallimento di queste iniziative. Per il professor Carlo Bellieni, contattato da IlSussidiario.net, “campagne di prevenzione di questo tipo sono destinate al fallimento per definizione, perché cercano di agire sul problema curandone solo il sintomo e non agiscono su quella che è oggi una mentalità eugenetica diffusissima in tutte le società occidentali”. Quello che dovrebbe essere fatto invece, dice ancora Bellieni, “è avere la capacità di agire sulla cultura e quindi sull’educazione”.
Professore, dati come questi sembrano indicare il totale fallimento delle campagne di prevenzione messe in atto da parte del governo inglese.
Il fatto è che quando si cerca di risolvere un problema curando solo i sintomi si fa sempre un grande disastro. E’ come se uno volesse guarire una malattia che provoca bolle sulla pelle non curando la causa, cioè il batterio, ma facendo invece scolorire le bolle. Così sono queste campagne contro l’aborto, sono campagne fatte solo sul sintomo, e non risolvono per definizione niente.
Cosa andrebbe invece fatto?
Andrebbe fatto un lavoro che possa andare a colpire la mentalità eugenetica che c’è dietro, diffusa in tutta la società occidentale. E’ questo il piano su cui si deve agire, ma è esattamente quello che non si fa: ci si limita a fare delle leggi, qualcuna migliore, qualcuna peggiore, ma non è lì il problema.
Vediamo allora di capire dove sta.
Manca prima di tutto la capacità di agire sulla cultura e quindi sull’educazione. Poi manca la capacità di prevenzione e in terzo luogo la capacità di conoscenza, tre livelli della questione gravi e importantissimi che sono alla base di qualunque campagna preventiva e che invece non vengono affrontate in questo campo. Ci si limita a fare una legge.
Quanto incide il messaggio che viene dalle famiglie moderne, in cui sembra che la libertà sessuale sia ormai un qualcosa di accettato e definito?
Bisogna individuare due livelli. Il primo è che spesso sono le mamme stesse che indicano l’aborto alle figlie come soluzione quando magari le figlie stesse non vorrebbero. E’ dunque più un problema di perbenismo degli adulti che dell’istintività dei giovani. In secondo luogo è il problema della società che ha definito ormai dei ruoli precisi, per cui vedere una ragazza che fa un figlio a 18 o 20 anni è una cosa inaccettabile. La società non lo permette e quindi indica in maniera pesante l’aborto come soluzione.
Il fatto che l’Inghilterra sia, benché nazione cristiana sulla carta, in realtà il Paese considerato più ateo dell’occidente ha un ruolo in questo quadro?
La carenza di educazione e una carenza di senso religioso sono sicuramente fatti che provocano questo danno di fondo, di cui l’aborto è un sintomo. Si deve tornare a fare una educazione vera basata su un senso religioso vero, perché i ragazzi vogliono questo, lo sentono e lo richiedono e in una società come la nostra, più cristiana a parole, non lo trovano lo stesso.
Come vede invece la situazione delle adolescenti italiane su questa problematica?
Vanno dette essenzialmente due cose. La prima è che c’è una diffusione quasi a tappeto della diagnostica prenatale, non quella che serve a curare, ma quella che serve per vedere se c’è una malattia genetica. Si ingenera nella mente delle ragazze l’idea che sia obbligatorio farla.
La seconda cosa?
La mancata autonomia dei ragazzi che vengono ancora tenuti come bambinetti poco intelligenti fino a trent’anni. Lasciamo stare famose dichiarazioni di ministri, però è un dato di fatto che l’età alla quale il ragazzo diventa adulto è molto più invecchiata e quindi la capacità di prendere responsabilità si è di molto allontanata.
Quanto incide l’aspetto della diagnostica prenatale? Oggi si tende a passare un modello di normalità definita a tavolino per quanto riguarda la nascita o meno di un figlio.
Esattamente. In una società in cui si nasce soltanto perché a decidere è l’esame della diagnostica prenatale, cioè se il risultato, fra virgolette, è buono, la psicologia dei giovani viene abituata a pensare che la vita deve essere vissuta solo se sei normale, e quindi se la gravidanza non arriva in una età “normale” o se il figlio non è normale la gravidanza non si accetta. D’altra parte invece è molto bello che si moltiplichino sulle televisioni giovanili trasmissioni che fanno vedere la bellezza della gravidanza delle ragazze adolescenti, trasmissioni che sono molto seguite. Programmi che fanno vedere che, al di là di una idea che viene passata dalla televisione generalista nella quale i giovani sono quelli che non vogliono fare famiglia, questo desiderio di famiglia e di figli è accettato come normale. E’ un dato molto confortante.