“Il problema alla base di tutto è che in Nigeria non c’è nessuna garanzia di sicurezza da parte del governo. Continuano a prometterla, ma non c’è”. Così dice padre Bernardo Cervellera, missionario del Pime, direttore dell’agenzia giornalistica AsiaNews, nell’approfondire con IlSussidiario.net la realtà di sangue che vive oggi la Nigeria. E continua: “La classe politica nigeriana è fortemente divisa e in questa situazione di tensione hanno la meglio le pressioni sia dei gruppi fondamentalisti sia di alcuni Stati stranieri che vogliono destabilizzare questa’area dell’Africa centrale”. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti: la carneficina di cristiani in Nigeria continua, non solo la domenica. Nelle ultime ore ne sono stati uccisi una novantina, 50 dei quali ritrovati carbonizzati all’interno di una chiesa.
Ancora stragi in Nigeria, una carneficina senza fine mentre nuovi gruppi radicali islamici si uniscono a quelli già presenti. È la fine dei cristiani in Nigeria?
Il problema alla base di tutto è che in Nigeria non c’è nessuna garanzia di sicurezza da parte del governo. Continuano a prometterla, ma non c’è. Inoltre, la classe politica nigeriana è fortemente divisa e in questa situazione di tensione hanno la meglio le pressioni sia dei gruppi fondamentalisti sia di alcuni Stati stranieri che vogliono destabilizzare questa’area dell’Africa centrale.
In effetti la Nigeria è, almeno sulla carta, la nazione più ricca del continente africano. Il che può far gola a molti…
In Nigeria c’è il petrolio, c’è una popolazione molto alfabetizzata e molto impegnata nelle industrie, nel commercio. È un Paese che effettivamente fa gola a molti, e quindi si cerca o di dividerlo o di annientarlo.
Eppure la Nigeria ha una lunga storia di rapporti con l’Occidente, basti pensare che fa ancora parte del Commonwealth. Perché l’Occidente tace su quanto accade? E cosa potrebbe fare concretamente?
Il problema è che l’Occidente è assente da moltissimo tempo dall’Africa. Questo ha permesso alla Cina di prendersi parecchio spazio sia negli scambi commerciali e nello sfruttamento delle materie prime sia nel sostegno a dittature africane più o meno “umanitarie”. Ma l’Occidente è assente perché non ha nessuna proposta da fare all’Africa. Mi sembra che sottolineare che l’Occidente non fa nulla sia soltanto un piangere sul latte versato. L’Occidente non sa più neanche chi è, sta esaurendosi come proposta globale. L’unica cosa che ha ancora in mano è una certa influenza sull’economia africana, ma anche questa influenza sta diventando fragile. E allora quello che si guarda è solo il proprio tornaconto economico.
Questa latitanza dell’Occidente è dovuta alla crisi del cristianesimo al suo interno?
È chiaro che è innanzitutto questo. La crisi dell’identità dell’Occidente è una crisi culturale prima ancora che economica. La crisi economica che c’è adesso mette in luce la crisi culturale e religiosa già in atto da tempo. Da quando l’Occidente ha accettato un certo relativismo come cultura generale e un materialismo tecnico scientifico come metodo di rapporto con gli altri, ha praticamente abdicato ad avere qualunque ideale.
La Chiesa invece è presente più che mai in Africa. Non può essere questa presenza a far scattare la rabbia degli islamici?
No, non direi, o non solo. Secondo me questi gruppi fondamentalisti non ce l’hanno tanto con i cristiani, quanto con le conseguenze del cristianesimo. In Nigeria i cristiani sono quelli che sanno gestire di più la società, sono più imprenditori, hanno più vivacità e capacità, i musulmani invece si trovano emarginati dalla propria società ma si sono emarginati da soli. Quindi può essere esagerato parlare di un conflitto religioso islam contro cristianesimo: anche i vescovi nigeriani continuano a denunciare il conflitto come anche economico e culturale, aggravato dalla mancanza di sicurezza da parte del governo centrale.
In un quadro così fosco, c’è spazio per una parola di speranza?
La parola di speranza devono trovarla i nigeriani, cercando di costruire una società in cui vengano sostenute le giovani generazioni, anche quelle appartenenti alle etnie che si sono autoescluse dallo sviluppo. La speranza viene da un programma e da una strutturazione del sistema scolastico che inglobi anche i giovani musulmani che fino a oggi, volenti o nolenti, sono stati esclusi.