Per la prima volta da quando più di un anno fa è scoppiata la crisi siriana con la conseguente guerra civile, sembra che un possibile spiraglio per una soluzione si sia trovato. E’ quanto suggerisce il positivo commento rilasciato dagli interessati dopo l’ennesimo incontro tra l’inviato delle Nazioni Unite Kofi Annan e il dittatore siriano, Assad. Solo pochi giorni fa infatti un altro incontro tra le due personalità aveva fatto dire ad Annan che non c’era più possibilità dialogo. Adesso invece si parla di un “accordo per porre fine alle violenze”. Secondo il professor Carlo Curti Gialdino, docente di diritto internazionale, “è ancora troppo presto per dire cosa possa succedere. E’ una situazione in continua evoluzione e nessuno conosce, a differenza delle altre volte, i contenuti precisi del piano”. E’ anche vero, aggiunge, che si intravvede finalmente uno sbocco, “dovuto probabilmente alla sempre più forte pressione internazionale e al fatto che la carneficina siriana è ormai sotto gli occhi di tutti”.
Siamo davvero vicini per la prima volta a un accordo che porti alla fine dei massacri e della guerra civile?
E’ troppo presto per qualunque valutazione, la situazione è in evoluzione. Adesso Kofi Annan deve parlare con i ribelli, ricordiamoci che siamo in una situazione di guerra civile.
Cosa può comportare questo piano, realisticamente?
Sicuramente è stato ripreso uno dei punti del precedente piano, quello presentato ad aprile, e cioè il cessate il fuoco. Probabilmente non si prevede più una eliminazione dal potere di Assad come invece allora, ma per il resto fare delle previsioni è prematuro.
Cosa può aver determinato che il regime abbia accettato, per la prima volta, la proposta di dialogo?
La situazione è tutt’ora molto preoccupante, perché ci sono irrigidimenti da una parte e dell’altra, e non intendo tra Assad e i ribelli, sarebbe niente se fosse così. Parlo degli irrigidimenti tra i sostenitori esterni di una parte e dell’altra. La Federazione russa, che sostiene il regime, e poi delle dichiarazioni da parte di Hillary Clinton e del presidente francese Hollande molto bellicose, il che non aiuta a chiarire il quadro della situazione. Ciò che può aver spinto Assad a cambiare atteggiamento rispetto ai precedenti incontri con il mediatore dell’ONU e della Lega araba è probabilmente questa pressione internazionale molto forte oggi, oltre il fatto che ormai la carneficina operata dal regime è sotto gli occhi di tutti.
Kofi Annan si è recato a Teheran a discutere il piano anche con l’Iran, cosa che agli americani non ha fatto piacere. Era importante questa visita?
L’Iran è il vicino, è uno Stato confinante, il fatto che Annan si sia recato da loro non significa necessariamente un riconoscimento del ruolo iraniano all’interno della guerra civile in Siria. Quando si fa un negoziato con un mediatore di organismi internazionali di cui fa parte anche l’Iran è evidente che questo mediatore debba andare anche a parlare con questi Paesi che in un modo o nell’altro sono coinvolti.
Dunque un allargamento del dialogo.
C’è piuttosto un altro dato che io leggo in maniera positiva e cioè la disponibilità russa a ospitare un prossimo incontro. Forse si sta muovendo qualcosa che consente di vedere un futuro più roseo. Ma più di tanto non possiamo dire.
Si dice che nel nuovo piano Assad rimarrebbe alla guida della Siria.
Secondo me infatti, rispetto al precedente piano di pace, quello che era inaccettabile era la pressione esterna su Assad. Era chiaro che lui non poteva accettarla e lasciare il suo Paese.
Rispetto alle altre rivoluzioni arabe, quella siriana è quella che ha pagato il debito di sangue più alto e che sembra ancora senza sbocchi precisi. Come mai?
Probabilmente perché il regime siriano è più forte degli altri. Inoltre le primavere arabe, salvo il caso della Libia, hanno preso di sorpresa i regimi, quindi quelli sono saltati prima. Per far saltare Gheddafi c’è stato bisogno di un intervento militare internazionale. Qui l’intervento militare non è ipotizzabile, con la Federazione russa che non rimuoverà mai il veto al proposito. Quindi la situazione è più difficile.
Siamo poi in uno scacchiere, quello medio orientale, molto esposto.
Siamo molto più vicini a situazioni esplosive che in Libia o in Tunisia, Paesi che erano più lontano da situazioni delicate e anche da interessi americani. Questo potrebbe spiegare il ritardo con il quale questa situazione trova uno sbocco.
E Israele? Per chi fa il tifo? La Siria potrebbe diventare un Paese fondamentalista che potrebbe incrinare il quadro di questo scacchiere.
Non la metterei su questo piano. Abbiamo visto in Libia come le elezioni abbiano smentito questa paura della crescita del fondamentalismo islamico in tutta la regione, per cui non possiamo prevedere cosa succederà in questa area. Credo che un quadro di una situazione di stabilità nell’area non possa far ammettere a Israele di preferire un regime che massacra la popolazione. Non credo proprio che possa essere considerata una salvaguardia un tipo di regime così da Israele.