Il braccio di ferro in corso tra Esercito egiziano e il presidente dello Stato, rappresentante del movimento politico-religioso dei Fratelli Musulmani, Mohamed Morsi, è molto pericolo e al momento è impossibile dire chi vincerà e in che modo. Era prevedibile che Morsi tentasse una qualche mossa, vista la situazione di quasi impotenza in cui i leader dell’esercito lo avevano posto sciogliendoli il Parlamento e  riprendendosi, per legge Costituzionale, buona parte dei poteri. La fibrillazione egiziana sarebbe meno importante se non fosse la chiave di volta di una situazione che va dal Golfo persico al Marocco. Quest’area non è importante “solo” per le cosiddette primavere arabe, come a dire che porta democrazia laddove v’erano dittature. L’Egitto oggi sta ritrovando (potrebbe) una rinnovata centralità per tutto questo scacchiere, come ai tempi dei Mamelucchi posti al potere da Saladino o come al tempo di Mehemet Ali . Ed è in quest’ottica che deve essere esaminata la situazione di quello che è definito il più antico “stato Nazionale” centralizzato del mondo e soprattutto da oltre mille anni basato su una società militarizzata. Morsi riprende in mano il conflitto che era in corso già negli anni ’20 tra il re Farouk e il suo movimento politico-religioso (fondato nel 1928). La questione dei fratelli musulmani è proprio questa: essi hanno partecipato alla costruzione e gestione dell’Egitto moderno, non sono un qualcosa di esterno che di colpo ritorna (com’era il caso dell’ayatollah Khomeini in Iran all’indomani della rivoluzione del 1979).



L’esercito è importante, ma non si vedono personalità forti. Infatti non possono quasi più contare sull’ex-capo di Stato maggiore Sani Anan, o il quasi pensionato Maresciallo Tantaoui. E che dire del generale Omar Souleiman uscito sconfitto dal suo tentativo di prendere la Presidenza? Insomma il braccio di ferro non è altro che un tentativo di riquadrare i rapporti di forza tra l’eterno ruolo dell’esercito e il ruolo dell’ormai quasi centenaria formazione dei Fratelli Musulmani che da decenni oramai partecipa alla gestione del potere del Paese attraverso il controllo dei più importanti sindacati e associazioni professionali. Quello che potrebbe rappresentare il punto d’arrivo tra i due attori non è tanto una esplosione violenta quanto un accordo, un compromesso proprio alla luce della situazione esterna. Notiamo che tutte le frontiere Egiziane sono estremamente pericolose.



La prima è certamente quella con il Sudan. La secessione “negoziata” con il Sud-Sudan non ha messo fine ai conflitti e non smette di preoccupare il Cairo. La gestione di Khartoum e del suo dittatore oramai alla fine non aiuta a spegnere un conflitto con la parte meridionale, fatta da cristiani e animisti. Conflitto in cui rischiano di lanciarsi anche Uganda e Kenya. Il Sudan ha un’importanza storica per l’Egitto. Ricordiamo che nacque dalla separazione con l’Egitto con referendum, nel 1956, sorprendendo la popolazione egiziana. L’altra frontiera caldissima è quella con la Libia, soprattutto perché la parte che confina con l’Egitto è proprio la Cirenaica che vede presenti i maggiori rappresentanti islamisti in seno al Consiglio di Transizione libico che cercheranno una naturale protezione verso il Cairo. Ultima quella a nord-est verso Israele che vede una naturale base in Gaza (storicamente appartenuta all’Egitto) e città nelle mani di Hammas, costola dei Fratelli Musulmani. Insomma la politica del nuovo governo egiziano dovrà essere assertiva verso queste frontiere, da qui il bisogno d’un compromesso tra esercito e Fratelli Musulmani. L’Egitto diventerà la chiave di volta di un insieme territoriale fortemente destabilizzato proprio dal crollo libico e quello in corso siriano. Una zona che va dal Marocco fino alla Penisola Arabica e che non risparmia Paesi come Mali e Niger direttamente, ma fa soffrire anche il Ciad (i massacri perpetrati sui Toubou nel Fezzan, sud della Libia, non possono lasciare indifferente a lungo il governo di N’Djamena). L’Egitto potrebbe diventare il nuovo paese leader di questo insieme, riprendendo il posto di quello che era fin qui il vecchio Sudan, prima della sua divisione. 



Al Cairo vorranno farlo? Con i cambiamenti in corso in Arabia Saudita e la guerra tra gli sciiti di Bachar al-Assad e i Sunniti del sud della Siria, forse si potrebbe assistere a una nuova ridefinizione dei rapporti tra Cairo e Riyadh, uniti insieme a Hammas per cercare di contenere l’asse Damasco-Theran-Bagdad (quest’ultima per la prima volta alleata del governo iraniano). Lo scenario è quello che si spera di evitare proprio per ritrovare un equilibrio e una pace in un territorio (quello egiziano) che vive di turismo. Ma non è impossibile. Soprattutto perché è con questo nuovo ruolo regionale dell’Egitto che al Cairo si potrebbe definire un compromesso “storico” tra Militari e Fratelli Musulmani. Insomma: continua!