Torna l’allarme per le armi chimiche. La Siria starebbe trasferendo una grande parte del suo arsenale di armi chimiche in depositi più sicuri e, soprattutto, al riparo dagli occhi degli osservatori delle Nazini Unite. È quanto sostiene il Wall Street Journal nell’edizione di venerdì 13, ricordando che Damasco possiede centinaia di tonnellate di agente Sarin e gas mostarda e che non ha mai firmato la convenzione del 1992 che rende illegale la produzione, la conservazione e l’utilizzo di queste armi. Utilizzo che in Medio Oriente è già stato fatto, protagonista Saddam Hussein che nel 1988 sterminò con i gas migliaia di civili curdi ad Halabja. Mondo occidentale in allarme, dunque, in primis gli Stati Uniti: la preoccupazione che anche Bashar al Assad intenda avvalersene per avere la meglio sugli oppositori, è grande, nonostante le smentite del ministero degli Esteri siriano. «Questo potrebbe rappresentare un precedente dell’uso di armi di distruzione di massa sotto i nostri occhi, e ciò è terribilmente pericoloso per la nostra sicurezza nazionale», ha affermato una fonte interna del Dipartimento di Stato Usa. Nello stesso giorno in cuiil Wall Street Journal lanciava l’allarme, gli attivisti siriani anti regime – che puntano l’indice contro l’esercito fedele al presidente Bashar al Assad – hanno denunciato il massacro di oltre 220 persone, in gran parte civili inermi, a Tremseh, villaggio nella provincia orientale di Hama, una delle zone più martoriate dalla guerra civile in corso. Sull’attendibilità della denuncia del giornale statunitense e sulla situazione della guerra civile in Siria ilSussidiario.net ha intervistato Enzo Cannizzaro, docente di Diritto internazionale all’Università La Sapienza di Roma.
È plausibile un utilizzo di armi chimiche da parte del regime di Assad? I timori americani sono fondati?
Mi sembra un’ipotesi francamente remota e non perché Assad si faccia scrupoli nell’uso di queste armi di distruzione di massa, bensì perché sia Russia che Cina, Stati che sostengono e proteggono la Siria, lo condannerebbero. Sarebbe un’eventualità di una violenza ingiustificabile agli occhi del mondo occidentale: una mossa ben poco gradita da entrambe le potenze. E per il regime perdere l’appoggio di queste super potenze sarebbe un errore fatale.
Movimenti si registrano anche dalla Russia. Il cargo sovietico Alaed, carico di armi e artiglieria militare, sembra si sia rimesso in movimento con destinazione il porto siriano di Tartus. La comunità internazionale può solo assistere impotente a queste manovre?
Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ha bisogno di un voto positivo, o al massimo della “benevola” astensione, da parte dei membri permanenti. Di questi fa parte anche la Russia che, infatti, ha bloccato sempre risoluzioni di condanna troppo severe nei confronti della Siria. Di conseguenza, non verrà mai adottata una delibera contro il volere di Mosca.
Gli Stati Uniti bocciano la risoluzione sostenuta da Onu e Lega Araba, sostenendo di fatto i ribelli e dicendo che Assad non potrà far parte, per nessun motivo, del futuro della Siria. Quali sono gli equilibri che si prospettano?
Il problema è esclusivamente politico. Assad non sembra intenzionato a lasciare il potere ed è sostenuto da una nutrita minoranza della popolazione che comprende vari settori sia di religione cristiana sia musulmana. E il timore di queste minoranze è che una fuoriuscita di Assad dal potere provocherebbe l’avvento di un regime fondamentalista: e quindi, a torto o a ragione, Assad è visto come una sorta di difensore del laicismo dello Stato siriano. C’è sempre un’ulteriore ipotesi, che contempla la possibilità che il potere venga rilevato da un altro esponente del medesimo regime. La situazione sul terreno è molto radicalizzata: se da una parte ci sono, appunto, i sostenitori del regime, dall’altra troviamo gli oppositori che, come abbiamo visto sinora, non sono meno agguerriti. Per questo motivo non riesco ad immaginarmi una soluzione di compromesso.
L’aver coinvolto l’Iran nel tentativo di risoluzione del conflitto non ha portato a risultati positivi. Lei pensa che Onu e Lega Araba si siano illusi inutilmente?
Credo che coinvolgere più Stati possibili sia una mossa intelligente, in particolare quelli che hanno una certa influenza: l’Iran, è noto, è schierata con il regime di Damasco. I motivi che hanno portato al fallimento non sono di facile individuazione ma non includere il governo di Teheran avrebbe chiuso la porta ad una possibile risoluzione.
Francia, Germania, Gran Bretagna e Germania stanno mettendo in campo una risoluzione che contempli nuove sanzioni economiche e diplomatiche ai danni di Damasco. Una via che finora non ha comunque dato buoni frutti. Insistere su questo tasto non è improduttivo?
Le sanzioni difficilmente sono utili quando non sono sorrette da un’amplissima maggioranza, se non addirittura dalla totalità della comunità internazionale. In questo caso, molti Paesi come Russia e Cina non condividono la posizione intransigente delle potenze occidentali. Hanno il timore che possa ripetersi ciò che è accaduto in Libia. La crisi siriana segue di poco quella libica in cui la Lega Araba si schierò apertamente contro il regime, così Russia e Cina, grazie alla loro astensione, hanno consentito che il Consiglio di Sicurezza dell’Onu votasse, prima sanzioni molto decise e, successivamente, addirittura l’uso della forza. Il resto è noto: la violenza è stata usata su larga scala per molti mesi e tutto ciò ha comportato la caduta del regime libico. Già nel corso della crisi molti Stati si erano defilati e Russia e Cina, seguiti da molte altre nazioni all’interno del Consiglio di Sicurezza, avevano espresso dubbi sulla liceità dell’azione occidentale. Al termine della crisi, a maggior ragione, molte potenze hanno criticato gli Stati occidentali per la tendenza a monopolizzare gli equilibri politici della Libia. Ed è principalmente questo il motivo per cui Russia e Cina si rifiutano di dare via libera all’Occidente sul caso siriano.
(Federica Ghizzardi)