A sei mesi dalla morte di Kim Il Sung, in Corea del Nord ha destato sorpresa l’improvvisa sostituzione del capo dell’esercito, Ri Yong-ho, da parte di Kim Jong-un, il giovane leader 27enne succeduto al padre. Ufficialmente si parla di “malattia”, ma è una versione che non appare molto convincente. Ilsussidiario.net ha chiesto a Massimo Urbani, l’ultimo console italiano in Corea del Nord nonché una delle poche persone straniere che vi ha vissuto per dieci anni, come legge questa decisione. E quali prospettive vede per il futuro del Paese nei rapporti con l’Italia.
Sui media già si parla di lotta per il potere, qualcuno addirittura ha parlato di “purghe staliniane in Corea del Nord”. Lei cosa pensa di quello che è successo?
Mi consenta una premessa: nella Repubblica democratica popolare di Corea è estremamente difficile sapere cosa accade pur vivendoci. Figuriamoci stando seduti a Roma, Bruxelles o New York. Questo non è un discorso politico o economico, ma è proprio un discorso culturale. Trattandosi di un Paese dell’Estremo Oriente, dobbiamo saper leggere gli eventi secondo la sua cultura. E, come ho spiegato più volte, è di per sé difficilissimo parlare di questo “regno eremita” che è la Corea del Nord. Dico questo non senza spirito critico. Anzi lo dico proprio in qualità di esperto di cooperazione umanitaria. Secondo me, non bastano tre anni per poter cominciare, non dico a giudicare, ma soltanto a parlare di quello che succede lì.
Detto questo, che idea si è fatto rispetto a quanto accaduto ieri?
Riguardo a questa notizia – e sto parlando a titolo personale – è indubbio ed è verificabile de visu, come direbbero i romani, che il Paese è avviato a un lento ma progressivo e inarrestabile sviluppo, contrariamente a tutto ciò che si dice e si pensa della Corea del Nord – spesso si tratta di cose negative. Io vedo, quindi, anche il cambiamento di Ri Yong-ho, non dico in termini positivi o negativi, bensì costruttivi.
Secondo fonti del ministero degli Interni di Seul (Corea del Sud) la decisione si presenta come “inattesa e inusuale” e “scuote la rigida struttura autoritaria del Paese comunista”. Il militare è peraltro apparso in buone condizioni nelle recenti occasioni pubbliche.
Io dico che il loro leader, Kim Jong-un, a 27 anni, ha una mentalità aperta. Non lo sto né lodando, né gratificando. Dico soltanto che è indubbio che una persona, a quell’età, sia essa coreana, peruviana, olandese o cinese, ha – starei quasi per dire fisiologicamente – una mentalità più ampia. E non sto parlando delle decisioni in merito agli hamburger o alle patatine, non so se mi spiego (il riferimento è alla recente decisione del giovane leader di autorizzare il consumo di hamburger e patatine fritte, in precedenza vietato, ndr). E intorno a lui spesso si costruisce un mondo che ormai non c’è più…
Non vorrà dirci che in Corea del Nord qualcosa sta cambiando?
Certamente. Io stesso, non più di un mese fa, sono ritornato lì dopo cinque anni e ho trovato un’altra nazione. Non ancora migliorata. Nemmeno forse già cambiata. Ma una nazione assolutamente in completo movimento.
Un esempio?
Prendiamo lo stato generale della popolazione: è indubbiamente migliorato. Non si vedono più le persone che si vedevano 15 anni fa. Si nota un’aumentata mobilità. Prima il traffico non c’era. E si vedono le biciclette sulle strade. Che prima non c’erano.
Perché questa enfasi su questi particolari?
Vede, io non sono un paladino della Corea del Nord. Sono un conoscitore. E dico smettiamola di parlare sempre e comunque in termini negativi di questa nazione. Cominciamo a parlarne in termini reali. Così potremo ottenere due effetti. Uno diretto: quello di avere un rapporto con la nazione. L’altro, per forza indotto, è quello di favorire l’integrazione di questo “regno eremita” nella comunità internazionale.
Con quali vantaggi?
Questo potrà avere aspetti costruttivi anche per la nostra economia e i nostri scambi, non solo commerciali. Perché oggi in Corea del Nord non c’è ancora nessuno straniero. E nessuno ci vuole andare! Però io, che nel mio piccolo sono andato, ci sto lavorando e sono ritornato. Ma se noi continuiamo ancora nel 2012, dopo settant’anni, a parlare ancora di guerre, di missili e soldati, non ne usciremo più.
In che senso mi scusi?
Noi parliamo di una nazione ancora in guerra. Mentre nessuno dice che loro vogliono solamente due cose. Primo, la firma della pace, perché tra Corea del Nord e Corea del Sud, trascorsi 60 anni, c’è ancora l’armistizio. E secondo, loro vogliono la denuclearizzazione della penisola. Perché se è vero che ci sono delle istallazioni nucleari al Nord, allora esistono anche al Sud. Con questo non sto facendo l’esperto politologo. Le sto fermamente parlando di una realtà che è così.
Sta parlando solo dei popoli o anche dei governi?
Assolutamente dei governi. Prendiamo i colloqui di pace a Pechino. Sono oltre 10 anni che gli amici della Corea del nord e del sud sono seduti al tavolo delle trattative con gli amici, americani, russi, cinesi e giapponesi. Sono seduti in sei con la sola differenza che due vogliono riunirsi e quattro non vorrebbero mai la riunificazione. Come dico in un modo sempre molto “naif”, se lei domani mattina convocasse tutti i coreani del nord e del sud in un attimo avremmo la Corea riunificata.
E l’Europa?
Gli amici coreani amano molto l’Europa. Per motivi di vicinato hanno delle ansie e delle angosce con gli asiatici. Per motivi culturali non hanno rapporti con gli amici africani. Per motivi politici hanno dei problemi con gli amici americani. Mentre non hanno alcun problema con noi europei e soprattutto con noi italiani.
Davvero?
Certo, soprattutto dopo la visita del ministro degli Esteri Lamberto Dini in Corea del Nord dodici anni fa: fu il primo esponente dei paesi del G8 a visitare Pyongyang. Peccato che poi non abbiamo fatto più nulla. Ma l’Italia è amata e voluta: ci stanno ancora aspettando. Ma noi in Corea del Nord non abbiamo fatto nulla. E noi abbiamo a Roma un ambasciatore in Italia (Kim Young-seok, ndr) che rappresenta una nazione pronta, disponibile e preparata a riceverci. Non a livello militare o politico, ma proprio a livello umano. Stanno cercando imprenditori. E abbiamo già qui artisti nord coreani.
Cosa può fare allora l’Italia?
Anzitutto ci sono ragazzi già qui in Italia che stanno studiando. Io da italiano chiedo a chi di dovere e chi di competenza di restaurare dei legami dei rapporti con la Repubblica democratica popolare di Corea perché credo e affermo che è ancora penalizzata senza alcun motivo. E oggi in Corea del Nord non c’è una presenza adeguata italiana come dovrebbe essere. Anche dal punto di vista diplomatico. Loro hanno un’ambasciata qui noi. Là noi non abbiamo nulla. Perché non aprire un ufficio, non di sterile rappresentanza, dove ci sia la nostra splendida bandiera? È un invito che faccio.
(Matteo Rigamonti)