“Noi per la Siria vediamo una soluzione consensuale che ricalchi in qualche modo il modello libanese con un governo di transizione che comprenda tutte le componenti della società siriana, ma proprio tutte. E parrebbe che questo sia difficile senza una partecipazione condivisa della Russia in seno all’Onu”. A dichiararlo è stato nei giorni scorsi il premier Mario Monti nel corso della sua visita in Russia. Tra martedì e mercoledì l’Esercito regolare di Assad è andato al contrattacco, dirottando le truppe sulla città di Aleppo e bombardandola con gli elicotteri militari. Ilsussidiario.net ha intervistato Camille Eid, cristiano libanese e giornalista di Avvenire, per chiedergli se il modello libanese può funzionare in un’ipotetica Siria dopo un’eventuale caduta di Assad.



Eid, che effetto le fanno le dichiarazioni di ieri di Mario Monti?

Come libanese sono orgoglioso di sentire parlare di una “libanizzazione della Siria”, piuttosto che di una “sirianizzazione del Libano”, cui purtroppo abbiamo assistito per oltre 30 anni. Mentre in precedenza il termine “libanizzazione” significava dividere o balcanizzare, Monti parla al contrario di “libanizzare” nella sua accezione migliore, cioè di aprire una finestra di libertà e di pluralismo in tutti i Paesi del Medio Oriente che per lunghi decenni hanno patito per la dittatura di una sola comunità o di una sola etnia.



Lei quale scenario prevede nella Siria del dopo Assad?

In Siria la maggioranza è arabo-sunnita, ma non si può pensare di fare un governo monocolore. Tutte le realtà siriane che compongono il mosaico etnico, come curdi e armeni, e confessionale, come sunniti, alawiti, drusi, ismaeliti, cristiani ortodossi e cattolici, devono entrare a fare parte della nuova Siria. Se così non sarà, un’eventuale cacciata di Assad non porterà a un Paese democratico e pluralista.

Ma Siria e Libano sono davvero simili come sostiene Monti?

Occorre operare una distinzione. In Libano la gente si sente prima drusa o maronita, e solo in un secondo momento libanese. In Siria al contrario il sentimento di appartenenza nazionale è molto forte. Il governo ha giocato sulle divisioni etniche, operando una contrapposizione tra gli alawiti e il resto del Paese e cercando di raccogliere attorno a sé una coalizione di minoranze per contrastare la maggioranza sunnita. Il popolo siriano però non percepisce queste divisioni come radicate nel suo sentire.



In molti però temono che dopo la fine di Assad i sunniti finiscano per schiacciare le minoranze …

Anche in Siria è indispensabile tranquillizzare le minoranze, e ultimamente ho notato una serie ripetuta di dichiarazioni preoccupate da parte dei responsabili europei, dal ministro degli Esteri francese, Laurent Fabius, al ministro italiano Giulio Terzi di Santagata. In Siria però il conflitto non si presenta come confessionale ma riguarda da un lato il regime, che include persone di diverse religioni, e dall’altra il popolo che aspira alla libertà, alla democrazia e alla creazione di uno Stato di diritto.

 

L’elite del regime però è alawita, una setta di religione sciita …

 

Nell’attentato di mercoledì a Damasco i generali uccisi non erano tutti alawiti, ma su tre di essi c’erano anche un cristiano e un sunnita. Bisogna quindi uscire da questa logica delle minoranze impaurite, che guarderebbero con timore all’eventuale arrivo di estremisti dopo la fine di Assad. E’ un modo di vedere le cose più occidentale che tipico della Siria. Ritengo tuttavia necessario avere il Libano come esempio, perché la Siria nel periodo di transizione che attraverserà dopo la fine di Assad avrà bisogno della collaborazione di tutte le componenti per dire al mondo: “Questo è il nuovo volto della Siria che noi vogliamo”.

 

La proposta di Monti ha solo un valore simbolico, o può funzionare concretamente?

 

Può funzionare concretamente, e lo dimostra il fatto che il Consiglio Nazionale Siriano da poche settimane è guidato da un personaggio che appartiene ai curdi, e che è composto da diversi cristiani, uno dei quali, George Sabra, è uno dei più indicati come futuro presidente. Il “governo ombra” dei ribelli comprende quindi le diverse componenti etniche e religiose del Paese, e non vedo quindi perché nella futura Siria non si possa replicare un’esperienza di questo tipo.

 

Anche il governo di Assad è ugualmente pluralista?

 

In teoria sì, ma nella pratica questa ripartizione è fasulla, in quanto pur essendo presenti dei ministri cristiani non hanno alcuna voce in capitolo all’interno della loro comunità, ma sono nominati esclusivamente sulla base della loro appartenenza al partito Ba’th al potere.

 

Secondo il regime è il Consiglio Nazionale Siriano a non essere pluralista, in quanto sarebbe dominato dai Fratelli musulmani …

 

La componente più presente sul terreno è quella dei Fratelli musulmani, i quali sono ben organizzati già da diversi decenni. Rappresentano quindi l’elemento maggioritario, ma il “governo ombra” include però anche liberali, cristiani e altri gruppi indipendenti. Ci sono quindi diversi orientamenti, e i Fratelli musulmani hanno evitato di mettersi troppo in mostra per non dare l’impressione di volere monopolizzare la scena.

 

(Pietro Vernizzi)

Leggi anche

SIRIA/ Jean: Putin non vuole mantenere gli impegni e si fa beffe di tuttiSIRIA/ Mons. Pezzi (Mosca): la fede dei russi ha cambiato le scelte di PutinSIRIA/ Il giornalista siriano: Al Qaeda sta cercando di rubare la nostra rivoluzione