Un militare dei carabinieri che lavora all’ambasciata italiana a Sanaa, capitale dello Yemen, è stato rapito ieri mattina da alcuni miliziani armati. L’italiano stava camminando lungo la strada nel quartiere di Hadda che si trova a sud-ovest della città. Per l’intera giornata nella capitale yemenita si sono verificati dei disordini, in quanto degli uomini armati legati alle varie tribù hanno fatto irruzione nel ministero degli Interni, chiedendo di essere assunti come agenti della polizia. Ilsussidiario.net ha intervistato Guido Olimpio, esperto di terrorismo del Corriere della Sera.



Quali sono le principali ipotesi sull’identità dei rapitori del carabiniere?

Una delle ipotesi è che si sia trattato delle tribù e dei clan ancora in lotta con il governo, e che anche in passato hanno sequestrato degli altri stranieri, in particolare funzionari e turisti. La seconda ipotesi è quella del terrorismo e dei gruppi che noi definiamo come “qaedisti”, cioè appartenenti alla galassia di Al Qaeda.



Per quale motivo le tribù dovrebbero rapire un carabiniere italiano?

Il punto non è tanto che si sia trattato di un carabiniere italiano, quanto piuttosto di uno straniero. E’ già successo che avvenissero sequestri di occidentali, e il cittadino occidentale soprattutto in quanto funzionario o membro dell’ambasciata ha un maggiore valore e diventa una pedina di scambio per ottenere la liberazione di qualche loro compagno, un riscatto o degli aiuti. In parole povere è una specie di mercato che prosegue da anni e non si tratta di un fatto inedito.

Dovremo quindi attendere una rivendicazione e una richiesta di riscatto?



Sì, forse ci dobbiamo aspettare una richiesta di denaro o di qualche cosa d’altro, magari la liberazione di qualcuno o posti di lavoro.

Com’è la situazione nello Yemen per quanto riguarda la lotta al terrorismo?

Al Qaeda è molto forte e ben radicata nel Paese della Penisola arabica, nonostante abbia subito colpi piuttosto duri da parte di Stati Uniti e governo locale. La formazione terroristica ha una tradizione nella zona, è un gruppo storico e ha dimostrato di poter sopravvivere a iniziative militari e a una strategia che vede il coinvolgimento degli americani. Rappresenta quindi un’entità ancora molto pericolosa.

Quale fase politica si è aperta dopo le dimissioni del presidente Saleh?

Certamente le dimissioni del presidente Saleh non sono bastate a pacificare il Paese, perché le rivendicazioni che ieri hanno dato vita al sequestro del carabiniere e ai disordini vanno oltre quelle che sono transizioni democratiche. Ci sono delle spinte che esulano da quelli che sono i canoni di un sistema politico.

A che cosa si riferisce?

Da un lato c’è Al Qaeda che non riconosce le formule democratiche, dall’altra i clan che badano soltanto alla loro legge e ai loro diritti. Avere cacciato il presidente Saleh è stato un tentativo di normalizzare il Paese, ma non sempre gli attori rispettano questo gioco e queste regole.

La rivoluzione del 2011 è nata soltanto dalle rivendicazioni delle tribù, o da una genuina richiesta di democrazia?

C’era di tutto, sia la richiesta di democrazia portata avanti da alcune entità sociali, sia delle rivendicazioni molto più particolari. E’ quindi difficile rispondere a tutte le istanze, perché ci sono obiettivi troppo diversificati tra loro e troppo lontani e anche realtà disomogenee. Per gli estremisti islamici la democrazia è un nemico, le tribù hanno il loro statuto, e poi nel Paese sono presenti anche diverse forme di brigantaggio. Insomma è una realtà molto complicata, si tratta di un Paese che non è molto sviluppato anche se ha una grande tradizione storica.

Non è paradossale che gli esponenti delle tribù, per chiedere di essere arruolati come agenti di polizia, abbiano sequestrato i funzionari del ministero dell’Interno?

Può essere paradossale, ma anche in altri Paesi vicini abbiamo già assistito a situazioni non molto differenti. In Iraq per esempio gli Stati Uniti per togliere ossigeno ad Al Qaeda hanno arruolato dei miliziani che in precedenza erano stati simpatizzanti della rivolta. In quelle aree del mondo si arriva anche a dei patteggiamenti, ecco perché tutto alla fine si riduce a un bazar.

 

(Pietro Vernizzi)