Quando la potenza della globalizzazione con i suoi riflessi (in questo caso negativi) è molto evidente. La crisi che sta colpendo la Spagna miete “vittime” anche nel continente sudamericano. Sono tanti gli emigrati dall’America Latina che in questi ultimi mesi hanno deciso di fare ritorno nei Paesi d’origine. Da questo punto di vista è interessante analizzare la posizione del Paraguay, che ha sempre mantenuto un rapporto collaborativo con la «madre patria» come definiscono la Spagna ad Asunción. Le ragioni sono ovviamente storiche con lo stato iberico che ha colonizzato il territorio per più di 200 anni, ma ha poi senza spargimenti di sangue concesso l’indipendenza nel 1811. C’è quindi rispetto per la Casa reale; a questo si aggiungono anche un interesse di natura economica oltre che storici legami familiari favoriti dalle unioni del periodo coloniale. Secondo Paese più povero (dopo Haiti) del continente americano, il Paraguay ha sempre avuto una forte emigrazione, in particolare verso tre stati: la Spagna (da lì arriva il 58% delle rimesse), la confinante Argentina e gli Stati Uniti. Con il sogno dell’Europa hanno trovato posto, facilitati dalla medesima lingua e anche da caratteristiche culturali simili, come lavoratori: chi nel campo dell’assistenza, chi nella ristorazione, chi nella cura domestica e chi come operaio. Lo stesso si può dire presumibilmente per altri sudamericani e africani (soprattutto marocchini) che sono stati accolti dalla Spagna. In queste settimane, di fronte alla crisi e alla crescente disoccupazione, l’ambasciata paraguayana in Spagna si è attivata (stanziando anche dei fondi) per agevolare l’uscita dei propri concittadini che, senza lavoro e forse senza prospettive nel medio periodo, decidono di rientrare a casa dove in molti hanno ancora i familiari. Il problema, però, è che l’entrata nelle casse del Paraguay per le rimesse dall’estero degli emigranti incide notevolmente – dopo l’esportazione di soia (soprattutto in Brasile) e di carne (in Argentina e Uruguay) – sul Prodotto interno lordo paraguayano. È ipotizzabile, quindi, un ulteriore impoverimento dello Stato guidato da Federico Franco.
Non è certo una buona notizia per un Paese che ha già molti problemi da affrontare, primo fra tutti la forte differenza sociale tra chi vive bene e chi vive di espedienti. Non è neppure una buona notizia per la Spagna, che assiste, inerme, all’uscita dal territorio di una forza lavoro importante con una inevitabile ricaduta sociale, perché gli immigrati prestano un servizio molto spesso snobbato dagli autoctoni. La globalizzazione è anche questo. Nel bene e nel male. La globalizzazione, come scrive Baumann, divide quanto unisce. E le cause della divisione sono le stesse che dall’altro promuovono l’uniformità del globo.
Luciano Zanardini
Asunción