L’ex presidente argentino Jorge Rafael Videla, il cui nome è simbolo dell’ultima dittatura militare, è stato condannato lo scorso giovedì a 50 anni di carcere per aver sottratto i bambini ai desaparecidos. Videla era già stato condannato nel 1985 e nel 2010, ma oggi la sua pena è stata aggravata.
Il Tribunal Oral Federal 6 ha confermato infatti una verità storica nota, ossia l’esistenza di una “pratica sistematica” per il sequestro dei figli delle donne in stato di gravidanza che la dittatura militare manteneva vive fino al parto per poi uccidere. I bambini venivano dati in affidamento, successivamente, agli stessi dittatori o a famiglie vicine regime. La logica, dietro tutto questo, era l’idea che si potesse estirpare l’opposizione attraverso una nuova educazione della prole innocente che, una volta presa in consegna dalla parte “buona” della società argentina, sarebbe cresciuta secondo i principi e le norme del regime.
Il presidente del tribunale, María Carmen Roqueta, ha sentenziato che “i fatti in giudizio sono di lesa umanità […] e che furono implementati mediante una pratica sistematica e generalizzata di sottrazione, detenzione e occultamento di minori”, e che questo sia stato fatto “alterando o sopprimendo le loro identità in occasione del sequestro, detenzione, sparizione o morte delle loro madri nella cornice di un piano generale di annichilimento che coinvolse parte della popolazione civile dietro la logica di combattere la sovversione, implementando metodi di terrorismo di Stato durante gli anni dal 1976 al 1983 dell’ultima dittatura militare”.
Videla è stato considerato autore dei reati di “sottrazione, detenzione occultamento di minori di 10 anni rendendo volontariamente incerto lo stato civile del minore” in 18 dei casi giudicati. In altri casi lo si è considerato “partícipe necesario”, ossia l’eminenza grigia. Insieme a Videla, anche l’ultimo presidente della dittatura militare, Reynaldo Bigone, ha ricevuto una condanna a 15 anni di carcere per 31 fatti comprovati. Egli è stato altresì accusato di aver ordinato di distruggere documenti sulla repressione illegale. Altre sette condanne di uomini e donne collusi col regime e due assoluzioni hanno concluso il processo.
Ad assistere alla nuova sentenza le Abuelas de Plaza de Mayo, la cui lotta sociale ha portato un centinaio dei 500 bambini desaparecidos a conoscere la verità sul loro passato. L’intenso lavoro di ricerca per recuperare la memoria storica garantisce oggi un enorme apparato documentario sulle famiglie dei desparecidos, materiale che il gruppo si augura possa giungere nelle mani degli uomini e delle donne che, sequestrati da bambini, oggi disconoscono il loro passato.
La società civile Argentina giungerà mai a superare questo drammatico evento storico? A incanalare quel processo ci provò il primo presidente democratico Raúl Alfonsín (1983-1989), ma le leggi di pacificazione proposte, che condannavano solo i vertici, non ebbero il consenso sperato in una società molto conflittuale come quella argentina che chiedeva a gran voce giustizia e condanne anche per i gradi inferiori dell’esercito.
Oggi, in un momento nel quale l’Argentina è immersa in una crisi morale e politica acuta, in cui il partito peronista incanalava il 52% dei voti, in cui qualsiasi forma di opposizione non è in grado di configurarsi a livello partitico, ci si chiede quanto il processo di repressione abbia influito sulla costruzione di una società plurale che oggi fatica a manifestarsi.
I giovani agiscono politicamente nello stanare piccoli e grandi appartenenti alla dittatura, attraverso atti come quello dell’escrache la forma in cui, una volta individuato il soggetto, lo si umilia pubblicamente con volanti, sit-in e manifestazioni sotto la sua abitazione, perchè a tutto il quartiere sia dato a conoscere che lì c’è un rappresentante di un regime morto ormai quasi trent’anni fa.
Per ripensare a una Argentina politica, oltre a far tesoro delle condanne giustamente imposte, bisognerebbe che quella forza potesse darsi un volto costruttivo, o almeno un volto rivolto verso il presente perchè le condizioni in cui versa il paese, nonostante la crescita economica, manifestano tutti i sintomi dell’instabilità strutturale propria che ne ha caratterizzato la storia. Senza una chiave di lettura diversa si forniranno sempre più pretesti per mantenere una democrazia via via più limitata ma florida nella sua monopartitica direzione di potere.