La Siria è sempre più isolata: dopo la sospensione da parte della Lega Araba e la presentazione del rapporto Onu sui crimini di guerra, è giunta anche la sospensione da parte dell’Oci, l’Organizzazione per la Conferenza Islamica. Solo l’Iran si è schierato contro la decisione. Il regime di Damasco, inoltre, in campo internazionale, tra Russia, Cina, Cuba e Corea del Nord non si trova certo in buona compagnia. Per cercare di capire le ragioni che hanno portato alla sospensione dall’Oci, IlSussidiario.net ha intervistato Camille Eid, docente di Lingua araba alla Cattolica di Milano ed esperto di Medio Oriente, che ha voluto anche fare qualche previsione sugli scenari futuri più probabili.
Come si spiega la decisione dell’assemblea dell’Oci di sospendere il regime di Bashar al Assad?
Pur essendo simbolica è una decisione che accresce l’isolamento diplomatico della Siria. Sul versante arabo è già stata sospesa dalla Lega Araba, pur essendo tra gli Stati fondatori; ora è giunta anche la sospensione in ambito islamico. Rimane alla Siria una possibilità di azione politica solo in ambito internazionale. Tuttavia, se è vero l’antico adagio “dimmi con chi vai e ti dirò chi sei”, la Siria non si trova certo in una bella posizione: la compagnia che continua a sostenerla in Assemblea generale delle Nazioni Unite, quella dei Paesi che hanno votato alcuni giorni fa contro la risoluzione Onu, non le fa certo onore: ci sono Cina, Russia, Iran, Corea del Nord, Cuba, Venezuela, Bielorussia, Zimbabwe e Myanmar.
Proprio l’Iran non era favorevole alla decisione di sospendere la Siria dall’Oci. Perché?
Il presidente Mahmud Ahmadinejad e il suo ministro degli Esteri Ali Akbar Salehi sostengono che si sarebbe prima dovuto invitare la Siria a La Mecca, dove si svolgevano i lavori, per permetterle di difendere la propria posizione davanti ai presenti, e poi eventualmente in un secondo momento prendere una decisione. L’Iran non era d’accordo con una sospensione “in anticipo” ma tutti abbiamo sentito il segretario generale dell’Assemblea dell’Oci, il turco Ekmeleddin Ihsanoglu, dire che un regime che uccide il proprio popolo non è da tenere all’interno dell’organizzazione. Significa che la decisione era già stata presa alla riunione preparatoria dei ministri degli Esteri per essere messa poi all’ordine del giorno. L’Iran si è così trovato isolato in partenza. Su questo fronte sostenuto forse solo dal Libano.
Il re saudita Abdallah Abdel Aziz bin Saud ha voluto al suo fianco Ahmadinejad. Prove di dialogo tra Arabia Saudita e Iran?
Effettivamente re Abdallah ha riservato gli onori maggiori, oltre che al presidente egiziano Mohamed Morsi, al presidente iraniano. Ma si tratta di una mossa tattica perché i due sono propri agli antipodi su tutte le questioni aperte. Morsi, invece, ha proposto la formazione di un comitato che comprenda Egitto, Arabia Saudita e Iran per gestire la crisi siriana ma poi la sua idea non ha avuto seguito.
Ahmadinejad, nel corso dei lavori, ha sollevato un’obiezione dicendo che si parla sempre del regime di Assad ma mai dei disordini in Bahrain, dove la popolazione è in rivolta contro il re. Cosa ne pensa?
Si tratta di un battage mediatico spesso sollevato da parte iraniana perché in Bahrain la minoranza in rivolta è sciita (come chi governa Iran e Siria, ndr).
Cosa dobbiamo aspettarci nei prossimi giorni?
Bisogna vedere come risponderà l’Iran alla sua disfatta diplomatica de La Mecca. Oggi è la giornata mondiale per Gerusalemme, che è stata istituita dall’Ayatollah Khomeyni, in occasione di ogni ultimo venerdì del mese del Ramadan ma già ieri sera la televisione iraniana diceva che ci sarebbero state manifestazioni nelle regioni orientali dell’Arabia Saudita prevalentemente abitate da sciiti.
E i lavori dell’Oci come si sono chiusi?
In conferenza stampa il segretario generale Ihsanoglu ha detto che gli stati dell’Oci dovrebbero attivarsi maggiormente a livello internazionale per risolvere la crisi siriana, anche perché, adesso, quattro dei quindici membri del Consiglio di sicurezza dell’Onu appartengono all’Oci (Azerbaijan, Marocco, Pakistan e Togo). Tra i membri dell’Oci non c’è stata grande adesione all’idea di un intervento militare in Siria. Gli stati islamici prediligono una soluzione diplomatica.
Domenica intanto scade il mandato degli investigatori sui diritti umani dell’Onu…
Sì. Dopo che Kofi Annan, l’inviato speciale delle Nazioni Unite e della Lega araba in Siria, ha gettato la spugna rassegnando le dimissioni, sarebbe un fallimento totale. La scadenza è a mezzanotte di domenica: bisogna vedere se in due o tre giorni si può arrivare a un nuovo accordo.
Lei che cosa si aspetta?
La vedo brutta, perché l’impasse della diplomazia non fa altro che posticipare il termine senza risolvere i problemi. E l’alternativa, l’intervento militare straniero, non è certo la soluzione migliore. Bisognerebbe trovare una soluzione che sia militare ma non del tipo di quelle realizzate in Libia o in Iraq.
Ma di che tipo?
La Siria negli anni 70 era intervenuta militarmente per mettere fine alla guerra in Libano: l’intervento di una forza non internazionale ma araba o anche islamica potrebbe non costituire intervento negli affari interni della Siria. L’ideologia del partito al potere non considera gli arabi degli stranieri.
È una soluzione possibile?
È un’idea… ma probabilmente saranno i fatti militari a imporre la via d’uscita. La diplomazia, fino a questo momento ha dimostrato tutte le sue falle e debolezze: fino a quando Russia e Cina continueranno a giocare la carta del veto ogni azione diplomatica sarà intralciata.
Si è parlato solo di Siria a La Mecca?
No, non solo. Oltre alla crisi siriana altri due argomenti erano all’ordine del giorno: la questione palestinese, che è un tema fisso da quando è stata fondata l’Oci nel ’69, e la persecuzione contro i musulmani in Myanmar, che è un fatto nuovo. Ma su questi argomenti l’accordo è stato unanime.
Cosa si è detto del Myanmar?
È un tema che sulla stampa islamica sta avendo sempre più eco: riguarda le persecuzioni del regime militare contro l’etnia Rohingya che abita la regione dell’Arakan. Stanno uscendo sempre più rapporti che parlano di stato d’assedio, persecuzioni e divieti di far pervenire aiuti umanitari a questa minoranza. Si tratta di etnie che hanno abbracciato l’Islam da secoli. E solo ultimamente, a seguito di disastri naturali, il governo birmano ha consentito l’arrivo di alcuni aiuti.
(Matteo Rigamonti)