“Israele sarebbe soddisfatta se la questione siriana venisse conclusa con l’estromissione di Bashar al-Assad, perché se Assad se ne andasse sarebbe un serio colpo per l’Iran e per l’asse radicale costituito da Iran, Siria e Hezbollah”. E’ questa l’opinione di Michael Herzog, editorialista del quotidiano israeliano Haaretz, nell’intervista a ilsussidiario.net. Il giornalista, che è brigadiere generale della riserva, continua illustrando gli scenari secondo i quali Israele si sta preparando, a partire dall’eventualità che le armi chimiche di Assad possano cadere nelle mani sbagliate, e rispetto a questa ipotesi Herzog dice che “Israele non rimarrà indifferente e prenderà iniziative”, alla possibilità di un attacco dell’ultima ora di Assad contro Israele. Altri punti in discussione: la recente visita del candidato Repubblicano alla presidenza, Mitt Romney e la prossima del Segretario alla Difesa Usa, Leon Panetta, le pressioni americane su Israele perché non intraprenda azioni militari contro l’Iran e i timori degli israeliani perché “nel frattempo gli iraniani continuano ad arricchire l’uranio, costringendo così Israele a prendere quanto prima una decisione.”
Come descriverebbe la situazione in Siria vista da Israele?
Israele sta seguendo gli avvenimenti siriani molto da vicino, dato che la Siria è un importante attore nella regione e un nostro immediato vicino. Direi che, inizialmente, quando è iniziata la rivolta contro Assad, vi era incertezza in Israele, perché non si sapeva cosa ci si doveva aspettare dalla caduta del regime, chi lo avrebbe sostituito. Oggi, la posizione israeliana è che si vorrebbe che la vicenda in Siria finisse con l’estromissione di Assad, perché la caduta di Assad sarebbe un serio colpo per l’Iran e per l’asse radicale costituito da Iran, Siria e Hezbollah. L’ipotesi è che qualsiasi regime sostituisca l’attuale, a meno che sia ancora formato da alauiti, sarà ostile a Iran e Hezbollah, che hanno sostenuto Assad nel massacro del suo popolo. Tuttavia, in Israele non sono certamente sparite le preoccupazioni per la situazione in Siria e le implicazioni dei vari scenari possibili.
Quali potrebbero essere questi scenari?
Un primo scenario è che le armi chimiche siriane cadano nelle mani sbagliate. In più, oltre le armi chimiche e biologiche, occorre tener presenti i missili terra-terra, i razzi a lunga gittata e quelli terra-aria. Israele non è l’unico Paese preoccupato per questo: se queste armi cadessero nelle mani degli Hezbollah e venissero portate in Libano , la situazione strategica in questo Paese verrebbe stravolta. Alcuni esponenti israeliani hanno già dichiarato che se ciò accadesse, Israele non potrebbe rimanere indifferente e prenderebbe iniziative. In questo momento, il regime siriano sembra avere ancora il pieno controllo di queste armi e non vi sono indicazioni che possano cadere in altre mani. Se però accadesse, Israele avrebbe davanti a sé diverse possibilità, a partire dall’opzione militare, per esempio colpendo i depositi dall’aria. É una ipotesi complessa e, come ha dichiarato la scorsa settimana il capo di Stato Maggiore, potrebbe dar inizio a una guerra, ma Israele potrebbe anche condurre attacchi selettivi, contro i convogli che trasportano le attrezzature militari e le armi in questione. Anche altri Paesi, come già accennato, stanno preparando piani di emergenza: gli americani, i turchi e altri vicini della Siria.
A quali altri scenari si sta preparando Israele?
Un altro scenario a cui ci si sta preparando in Israele è la possibilità che Assad, una volta convinto del suo fallimento, come suo ultimo atto usi la forza contro Israele per obbligarlo a una risposta militare, così da poter poi affermare di essere caduto mentre stava resistendo a Israele. Non so quale sia la probabilità che questa ipotesi si avveri, ma non la si può escludere e Israele si sta preparando anche a questa eventualità. Un ultimo scenario cui ci si sta preparando è l’arrivo di profughi al confine con la Siria. Per il momento non si registra alcun flusso di profughi, che preferiscono dirigersi, comprensibilmente, verso la Giordania o l’Iraq, Stati arabi dove si trovano probabilmente più a proprio agio. Con il proseguimento della guerra civile c’è la possibilità che profughi arrivino anche alla nostra frontiera e Israele si sta preparando ad accoglierli.
Il Consiglio di Sicurezza dell’ONU è diviso sull’eventualità di un intervento in Siria o sull’imposizione di sanzioni ancor più dure. Cosa pensa verrà deciso in quella sede e cosa Israele spera venga deciso?
Non credo ci si possa aspettare una risoluzione dell’ONU in favore di un intervento militare, a meno che in Siria avvenga una catastrofe o Assad usi le armi chimiche contro il suo popolo, fatti che potrebbero spingere a un’azione, che per il momento non sembra probabile. Non posso parlare per il governo, ma penso che Israele vorrebbe vedere una comunità internazionale più attiva nel fare pressione sul regime di Assad, non necessariamente attraverso azioni militari, ma almeno decidendo quali sono le componenti all’interno dell’opposizione che è giusto sostenere e aiutandole contro il regime. Finora, la comunità internazionale è stata piuttosto passiva, mentre Iran, Hezbollah e Russia sono molto attive nel loro sostegno ad Assad. A parte gli inviti ad andarsene di Obama, Hollande e della maggioranza dei leader europei, non è stato fatto un gran che. Ci sono le sanzioni economiche, certo, ma non bastano. Non penso che in questo momento la situazione richieda un intervento militare, come in Libia, ma si può certamente fare di più per sostenere le giuste componenti dell’opposizione. Se la comunità internazionale non lo fa, contribuirà a far emergere proprio quegli elementi che invece non vorrebbe prendessero la guida, come islamisti e jihadisti, già molto attivi e per i quali la Siria sta diventano un punto di attrazione in tutto il mondo arabo.
Il Segretario alla difesa Leon Panetta visiterà Israele nei prossimi giorni. Quali pensa saranno I principali punti che verranno discussi negli incontri?
Credo che questa visita abbia principalmente due obiettivi, sulla scia delle precedenti visite del Segretario di Stato Clinton, del suo vice Bill Burns e del candidato Repubblicano Mitt Romney, e il primo è di chiarire a Israele la posizione americana sull’Iran. Gli Stati Uniti vorrebbero che Israele non prendesse nessuna iniziativa contro l’Iran prima delle elezioni presidenziali di novembre. Il secondo obiettivo ha più a che fare con la politica interna americana. L’attuale Amministrazione vuole mostrare il suo sostegno a Israele come parte integrante della sua campagna elettorale, e altrettanto intende fare Romney. Credo che anche la visita di Panetta sia da inserire in questo schema di politica interna degli USA.
Proprio in vista delle prossime elezioni presidenziali, come pensa possano cambiare le relazioni tra Israele e Stati Uniti se verrà eletto Romney? Nella sua recente visita ha decisamente irritato i palestinesi definendo, tra le altre cose, Gerusalemme la capitale di Israele.
Starei molto attento a trarre conclusioni sulla base di ciò che viene detto da candidati. Una lunga serie di dati storici dimostra che quando poi si accede realmente alla carica le posizioni cambiano. Non metto in dubbio l’amicizia di Romney per Israele, ma questa è una cosa, la politica ufficiale degli Stati Uniti è un’altra. Dobbiamo solo aspettare e vedere.
Vi sono aggiornamenti sulla situazione in Iran e, quindi, sulla posizione di Israele?
Ci sono ancora molte discussioni e nessuna decisione, ma il messaggio che arriva è che non c’è più molto tempo per decidere. Il tempo passa e gli iraniani continuano ad arricchire l’uranio. I colloqui diplomatici non sembrano portare risultati e gli israeliani temono che la comunità internazionale venga trascinata in discussioni senza fine, mentre gli iraniani continuano le loro attività nucleari. Non so cosa verrà deciso, ma ciò è oggetto dei colloqui con gli americani, la cui posizione è chiara: non fate niente fino a novembre. Tuttavia, i tempi sono molto più brevi per Israele, che dovrà prendere una decisione molto presto.
(Maria Bond)