“Non esistono scorciatoie per garantire la sicurezza dei cristiani nel futuro della Siria e dell’intero mondo arabo. Tutte le comunità, incluse le Chiese cattoliche e ortodosse, devono partecipare attivamente alla costruzione del nuovo ordine dopo la fine di Assad. Se qualcuno resterà ai margini, il dialogo diventerà impraticabile”. Ad affermarlo è Salman Shaikh, direttore del Brookings Doha Center, un think tank del Qatar attivo nella mediazione dei conflitti nell’intero Medio Oriente. Shaikh non è solo un brillante intellettuale, spesso ha giocato un ruolo politico di primaria importanza in tutti gli snodi più delicati delle ultime vicende del mondo arabo per conto delle Nazioni Unite e dell’emiro del Qatar. Oggi interverrà a una tavola rotonda in occasione del Meeting di Rimini. Ilsussidiario.net lo ha intervistato in anteprima.



I ribelli siriani hanno lasciato cadere nel vuoto l’invito del Papa a far tacere le armi e fare parlare il dialogo. Come valuta il loro atteggiamento?

In primo luogo vorrei capire meglio se il Papa stesse parlando del dialogo con il regime, o di quello tra le diverse comunità religiose presenti in Siria. E’ chiaro che Assad non ha alcuna volontà di intraprendere né un vero dialogo, né riforme genuine né una transizione politica. Quella del governo siriano è unicamente una politica basata sull’intimidazione e, nella misura in cui quest’ultima non funziona, sulla forza. Mentre io e lei stiamo parlando, il regime sta bombardando i ribelli con carri armati e aeroplani. Questo non è evidentemente il linguaggio del dialogo. Se Assad lo avesse realmente voluto, avrebbe potuto avviare un reale processo di dialogo che avrebbe potuto a sua volta portare a una transizione democratica.



Quanto è vicina la caduta di Assad?

Attorno al presidente è rimasto soltanto il nocciolo duro dei suoi sostenitori. Le defezioni nell’Esercito e nel corpo politico e diplomatico fanno sì che il regime sia agli sgoccioli. Con lui sono rimaste solo le principali famiglie che da sempre appoggiano Assad. Non mi azzardo a fare previsioni esatte, anche se non credo che sopravvivrà più di pochi mesi. E’ possibile che da un momento all’altro i membri della sua famiglia saltino per aria o siano infiltrati dall’Esercito Siriano Libero, come è già avvenuto di recente. L’unico fatto certo è che è un periodo molto pericoloso, ed è compito della comunità internazionale, come pure di tutti i siriani, lavorare insieme per accorciare il più possibile la vita del regime.



La fine di Assad faciliterà il dialogo tra le diverse religioni?

Il dialogo interreligioso deve essere un processo attraverso cui si costruisca una visione unitaria che comprenda tutte le comunità siriane. Non esistono possibili scorciatoie, c’è bisogno della partecipazione degli elementi di opposizione e di quanti si trovano ai margini.

 

Chi ha in mente in particolare?

 

Mi riferisco soprattutto alle comunità cristiane. Tutti, incluse queste ultime, devono mettersi d’accordo per quanto riguarda il periodo di transizione e su come dovrà essere il nuovo Stato siriano. La paura dei cristiani è comprensibile, ma ritengo che sia venuto il momento in cui anche loro prendano un posto al tavolo della nuova Siria.

 

A finanziare le rivolte arabe sono i Paesi wahabiti, Arabia Saudita e Qatar, da cui provengono anche i predicatori che incoraggiano l’odio anticristiano …

 

E’ innegabile che in quanto sta avvenendo ci sia una dimensione settaria, e questo è evidente soprattutto per quanto riguarda la Siria. Le rivalità tra sunniti e sciiti, come è avvenuto in Iraq, si stanno concentrando sulla Siria e vedono contrapposti da un lato Arabia Saudita e Paesi del Golfo, dall’altra le ambizioni egemoniche dell’Iran. Non si tratta però di un “progetto wahabita”, la situazione in realtà è più complessa.

 

In che senso?

 

Per molti Paesi la Primavera araba è stato uno shock. Nel Medio Oriente è stato creato un nuovo ordine, e l’Arabia Saudita si è trovata nelle condizioni di dover recuperare il ritardo accumulato. La stessa cosa è avvenuta agli Stati Uniti e all’Europa. Altri Paesi al contrario hanno visto in quanto è avvenuto un’opportunità per perseguire i loro interessi. E’ il classico caso del Qatar, che fin dall’inizio ha sostenuto la rivoluzione in Tunisia, Libia, Egitto e ora in Siria. Arabia Saudita e Qatar, pur essendo entrambi wahabiti, hanno avuto due reazioni molto diverse.

 

Come si spiega che, dall’inizio della Primavera araba, i salafiti stanno spuntando ovunque come funghi?

I salafiti si caratterizzano per il loro linguaggio puritano e fondamentalista, ed è probabile che con il protrarsi della crisi siriana la loro popolarità cresca ulteriormente. Questi movimenti islamisti sono convinti di avere la giusta soluzione per ogni problema, e la loro ondata di popolarità in questa fase può crescere. Sarà interessante vedere se saranno in grado di continuare ad accumulare consensi anche nei prossimi cinque-dieci anni. Io ne dubito profondamente, e ritengo probabile che il movimento salafita si spezzi in numerosi frammenti.

 

Intanto in Egitto abbiamo assistito alla vittoria dei Fratelli musulmani …

 

Mi permetto di correggerla. In Egitto abbiamo assistito a una vittoria del potere del popolo contro la leadership vecchia e decadente di Mubarak, sostenuta dall’Esercito. I Fratelli musulmani sono emersi perché non sono considerati corrotti come il passato regime e sono percepiti più vicini alla gente comune.

 

Riusciranno a farsi interpreti di una vera trasformazione democratica?

 

Ritengo di no. La prima missione che attende i Fratelli musulmani è realizzare una democrazia liberale compiuta. Se però i partiti islamisti si concentreranno sulle battaglie sociali e culturali, lanciandosi in diatribe sul ruolo delle donne e delle minoranze religiose, inizieranno a perdere la loro popolarità. La stragrande maggioranza degli egiziani che stanno attendendo un cambiamento non hanno necessariamente in mente né uno Stato islamico né uno laico.

 

Allora cosa vogliono?

 

Tutto ciò che vogliono è uno Stato efficiente, in grado di svolgere meglio i servizi essenziali, di sconfiggere la povertà, di fornire un’educazione ai loro figli, esattamente come in Occidente. Questi dovrebbero essere gli obiettivi anche di chi sale al potere, e ora i Fratelli musulmani hanno questa precisa responsabilità. In secondo luogo la sfida per Libertà e Giustizia è quella di diventare un vero partito nazionale, sul modello della maggior parte dei partiti europei. Occorrerà quindi che vadano in cerca di una base elettorale più ampia rispetto al nocciolo duro dei loro sostenitori, vedremo se saranno all’altezza della sfida che li attende.

 

(Pietro Vernizzi)

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