Per evitare che il carcere divenga un’“università del crimine”, in cui il detenuto impara a commettere reati ancora più gravi, un gruppo di magistrati brasiliani da 40 anni sta sperimentando un sistema davvero originale. Hanno abolito le guardie carcerarie e consegnano a ciascun prigioniero le chiavi della cella e del portone del penitenziario. L’effetto è stato sorprendente: anziché aumentare, il numero di evasioni è crollato in modo verticale. A spiegare come funziona il sistema Apac, che significa Associazione per la protezione e assistenza ai condannati, è il procuratore brasiliano di Mina Gerais, Tomàz de Aquino Resende, che oggi parlerà al Meeting di Rimini. Il magistrato critica inoltre il sistema della carcerazione preventiva in uso in Italia: “Deve essere limitata a pochissimi casi stabiliti dalla legge, ricorrervi per forzare delle confessioni è una scelta degna dei secoli più bui”.



Procuratore, a quali condizioni il carcere può favorire il reintegro del detenuto?

In media il 70% dei detenuti una volta rilasciati commettono un nuovo crimine, che nella maggior parte dei casi è più grave del precedente. Il motivo è che sono passati dall’“università del crimine”, che è la prigione. Con il nuovo sistema che stiamo applicando in Brasile, chiamato Apac, i casi recidivi si riducono a meno del 10%. L’obiettivo del trattamento dei carcerati deve essere quello di ridurre la criminalità, non di aumentarla.



In che cosa consiste il sistema Apac?

In primo luogo abbiamo eliminato la polizia dalla prigione, non ci sono né guardie né agenti penitenziari. I carcerati hanno inoltre la chiave della prigione. Tutto si basa sull’autodisciplina, sulla fiducia e sul rispetto dei detenuti. Questa esperienza prosegue da 40 anni e sta dando risultati soddisfacenti.

Quanti carcerati sono già evasi con questo metodo?

Molti di meno che con il sistema comune di carcerazione. Abbiamo contato sei evasioni su 400 detenuti nell’arco di dieci anni. Molti di quelli cui affidiamo le chiavi avevano tentato ripetutamente la fuga quando erano incarcerati con il sistema convenzionale.



E non ne hanno approfittato?

Un detenuto, condannato a 50 anni, in 24 anni è evaso per ben 12 volte. Una volta ha scavato un tunnel, un’altra è ricorso alle armi, ha corrotto le guardie, in pratica le ha tentate tutte. A un certo punto noi magistrati abbiamo scommesso sulla sua libertà, e lo abbiamo inserito nel sistema Apac consegnandogli la chiave del portone del carcere. In nove anni non è mai uscito una sola volta senza permesso, ed è morto quando gli mancavano quattro anni alla scarcerazione. L’ultima volta che lo ho incontrato mi ha detto: “Quando avrò finito di scontare la pena, voglio continuare a lavorare qui per costruire anche per tutti gli altri ciò che ho visto per me”. Gli ho chiesto: “Perché sei scappato tante volte, e ora che hai le chiavi non lo hai più fatto?”. “Dall’amore non si fugge”, mi ha risposto. In 24 anni nessuno lo aveva trattato come un uomo, quando ha trovato qualcuno con questa attenzione nei suoi confronti ha cambiato completamente atteggiamento.

 

Offrite questa opportunità a tutti i tipi di detenuti, inclusi quelli che hanno commesso i reati più gravi?

 

Il sistema Apac riguarda tutti i tipi di crimine e tutti i tipi di criminali. Oggi sono coinvolti 2mila carcerati, in penitenziari da 140-150 persone l’uno. Il 30% sta scontando pene tra gli otto e i 50 anni per reati come traffico di droga, rapina a mano armata e altri delitti gravi.

 

Come fate a decidere a quali detenuti dare fiducia?

 

La fiducia è data a tutti, non esiste una regola, ed è proprio questa la cartina di tornasole del successo del nostro progetto. All’ingresso di una delle carceri in cui applichiamo il sistema Apac c’è scritto: “Qui entra l’uomo e il reato rimane fuori”. Su 500 detenuti con cui mi sono coinvolto, conosco il delitto commesso soltanto in due casi.

 

Come si spiega che dando le chiavi delle celle i carcerati fuggono di meno?

In primo luogo, per essere ammessi nel programma Apac devono accettare delle regole e una disciplina particolari. In nuovi arrivati confessano di avere chiesto di partecipare al programma Apac con l’obiettivo di evadere, ma quando si rendono conto di essere trattati in modo differente decidono di rimanere. E’ solo a quel punto che noi consegniamo loro le chiavi della cella.

 

Quali sono gli altri requisiti per essere ammessi al sistema Apac?

 

In primo luogo, il detenuto deve avere ricevuto una condanna definitiva. Inoltre deve firmare l’accettazione delle nostre regole. Terzo, chi ha un’anzianità maggiore nel carcere ha la precedenza. Se dopo essere stato ammesso in Apac, un detenuto fugge o compie delle mancanze gravi, ritorna al sistema comune e diventa l’ultimo in graduatoria.

 

Quali sono i limiti entro cui deve essere usato lo strumento della carcerazione preventiva?

 

La carcerazione preventiva deve riguardare le situazioni estreme, quando realmente il detenuto in attesa di giudizio rappresenta un grave rischio per la società. Per evitare scelte arbitrarie, le regole per la carcerazione preventiva devono essere molto chiare ed esplicite in modo che i magistrati sappiano bene in quali casi applicarle.

 

In Italia la carcerazione preventiva è stata utilizzata per costringere gli inquisiti a confessare …

 

Questo accade solo quando si abusa del proprio potere e non ha veramente senso, è una cosa di secoli fa. Non conosco la realtà italiana, ma se realmente la carcerazione preventiva è utilizzata con l’unico scopo di ottenere una confessione, è qualcosa di cui non so capacitarmi.

 

Nel nostro Paese su 67mila detenuti, 28mila (il 42%) sono in attesa di giudizio in carcere …

 

In Brasile invece su 500mila carcerati, il 70% ha ricevuto un giudizio definitivo e il restante 30% è in attesa di giudizio. Il carcere preventivo riguarda però solo i casi in cui ci sono già la prova o la confessione, non è uno strumento fine a se stesso.

 

(Pietro Vernizzi)

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