“La situazione in Siria ricorda molto da vicino la guerra civile in Bosnia”, dove “a pagare le spese maggiori è stata la popolazione civile in termini di vite umane e distruzione di beni”. Il problema ora non è “se Assad lascerà la Siria, questo è più che sicuro ormai, ma quando ciò avverrà” e quale sarà “la situazione che lascerà” in eredità il regime di Bashar al Assad. A parlare è Luigi Geninazzi, giornalista e inviato per l’Avvenire ed esperto di politica estera, che ha commentato a ilsussidiario.net la dichiarazione del presidente degli Stati Uniti Barack Obama che in conferenza stampa ha detto: “se il regime usa armi chimiche interverremo militarmente. Questa è la linea rossa passata la quale cambierò la mia politica”.



“Mi sembra la scelta, un po’ vergognosa, di voler stabilire un minimo comune denominatore raggiunto il quale si dovrà intervenire”, spiega Geninazzi, “ma Assad non è stupido: non ha usato le armi chimiche, come neppure le ha usate Saddam durante la guerra – che le ha invece usate quando nessuno lo sapeva –, e non credo che lo farà proprio ora”. E aggiunge “davanti ad una situazione così tragica come è la guerra civile in Siria, una situazione che non è iniziata da qualche settimana ma dura ormai da mesi, la Casa Bianca è stata molto reticente, ha lasciato parlare la Francia e ha lasciato agire (poco) la Turchia ma soprattutto è un attore che non vuole avere nessun ruolo nella vicenda. Anche se un ruolo di fatto ce l’ha perché gli Stati uniti non possono essere assenti da una guerra che sta dilagando ormai in tutto il Medio Oriente”.



“Purtroppo la situazione è già degenerata”, continua Geninazzi, “l’Onu, che insieme agli Usa è l’altro attore mancato della vicenda, ha dimostrato tutta la sua tradizionale viltà con dichiarazioni roboanti ma senza alcun tipo di effetto sul terreno. L’invio degli osservatori internazionali oltretutto è assurdo in una situazione di guerra civile: se vai in mezzo alla gente che spara devi andare lì per costringerli a non sparare. E non a guardare. Questa è la cosa che invece fanno i giornalisti che, come si è visto, rischiano la vita. Un osservatore dovrebbe fare di più”. E aggiunge: “non credo che Brahimi, il nuovo inviato speciale potrà fare molto di più di Kofi Annan”.



Non sembrano dunque stagliarsi motivi di speranza all’orizzonte, anche perché, “per ora nessuno ha intenzione di intervenire direttamente come è stato nel caso della Libia o del Kosovo per tornare indietro. Sotto traccia stanno agendo soltanto il Qatar e l’Arabia Saudita. Gli Stati uniti si sono forse accorti che il fronte anti-Assad non è unitario ma è infiltrato pesantemente da elementi integralisti e a volte addirittura terroristici di Al Qareda oltre ai sunniti fondamentalisti come i salafiti. Come è stato durante la guerra civile in Bosnia (dove Milosevic e i miliziani erano i principali responsabili ma le milizie musulmane e croate non erano da meno) non ci sono i buoni da una parte e i cattivi dall’altra”.

Sull’Occidente dice: “noi dovremmo tenere in mente la popolazione civile. Perché la Siria è sempre stato un mosaico di convivenze e culture. Assad, per i suoi interessi di dittatore, ha tenuto in vita la libertà religiosa o perlomeno di culto. E ora c’è il rischio che scompaia”. E chiude: “i cristiani sono l’anello debole di una catena già indebolita, quella della società civile, dove c’è una minoranza che ancora sostiene il regime; però la maggior parte della gente ha capito che Assad ha fatto i suoi giorni e si augura che dopo di lui non venga il peggio”.

 

(Matteo Rigamonti)