Continua, tra sangue e orrore, il botta e risposta tra il governo siriano e la Casa Bianca. Le parole del vice-primo ministro Qadri Jamil e del presidente Barack Obama volano rapide sulla recente morte della giornalista giapponese Mika Yamamoto, colpita durante uno scontro armato ad Aleppo, e sopra i corpi delle quaranta persone, giustiziate con colpi di arma da fuoco alla testa, rinvenuti nei pressi di Damasco.
Il presidente americano, in piena campagna elettorale, ha tuonato riguardo l’eventuale uso di armi chimiche da parte della Siria, sottolineando che questo farebbe sterzare in modo decisivo la strategia a stelle e strisce che attualmente non prevede alcun intervento militare. “Le minacce di Obama sono semplicemente propaganda legata alle elezioni statunitensi”, ha immediatamente risposto il vice-primo ministro siriano, convinto che le dichiarazioni dei Paesi occidentali siano solamente un pretesto per un’invasione. Inoltre, ha voluto chiarire Jamil da Mosca al termine dell’incontro con il ministro degli Esteri russo, un intervento militare diretto in Siria sarebbe impossibile perché inevitabilmente si spingerebbe oltre i confini siriani. “Chi pensa a questo – ha aggiunto – vuole probabilmente l’allargamento della crisi, che investirebbe non solo la Siria”.
Intanto da Mosca e Pechino giunge un severo monito contro un eventuale intervento straniero: “Non si violi il diritto internazionale”, ha detto il ministro degli esteri russo, Serghiei Lavrov, ribadendo che le potenze straniere “devono solo creare le condizioni per l’apertura di un dialogo” tra le parti in Siria, senza “ingerenze esterne”. Damasco, ancora una volta attraverso le parole del vicepremier, si è però detta pronta a discutere delle dimissioni del presidente Bashar al Assad nel quadro di un processo di dialogo nazionale. “Chiedere le dimissioni di Assad prima di un processo negoziale – ha detto – non è democratico. Si tratta di un tentativo di imporci una certa decisione, ma nel quadro del dialogo si può discutere di qualsiasi problema, anche di questo”. IlSussidiario.net fa il punto della situazione con il generale Carlo Jean, esperto di strategia militare e di geopolitica.
Cominciamo dalla posizione americana. Quanto giudica possibile un intervento degli Stati Uniti in Siria dopo le dichiarazioni di Obama?
Dopo essersi sbilanciato su un possibile intervento, è chiaro che Obama non potrà fare marcia indietro qualora vi sia un eventuale impiego di armi chimiche sia all’interno del territorio siriano sia contro l’eventuale formazione delle cosiddette “safe zone” che la Turchia prevede di creare qualora prosegua l’afflusso di profughi.
In che modo l’America potrebbe intervenire per evitare la minaccia chimica?
Probabilmente attraverso un intervento aereo ma le difficoltà non mancano di certo. Innanzitutto i depositi in cui sono custodite le armi chimiche di Assad sono sparsi su tutto il territorio e il governo siriano ha ovviamente mantenuto sempre un gran riserbo sulla loro posizione. Inoltre un eventuale attacco aereo su agenti chimici aggressivi, probabilmente già inseriti in proiettili d’artiglieria o in munizioni per lanciarazzi, difficilmente potrà risultare realmente risolutivo. Un eventuale intervento potrà quindi limitare la possibilità, da parte del governo siriano, di controllare queste armi ma non provvedere alla loro effettiva distruzione.
E’ vero che un eventuale intervento Usa inevitabilmente si allargherebbe oltre i confini siriani, come ha detto il vice-primo ministro Jamil?
Credo sia una valutazione corretta. Un intervento in Siria accenderebbe inevitabilmente l’intero Medio Oriente, tanto più che il regime alawita siriano è fortemente appoggiato dagli hezbollah libanesi e dagli sciiti iracheni, oltre ad avere un influsso sui palestinesi in Giordania.
Crede che quello americano sia davvero solamente un “pretesto” per invadere?
No, assolutamente. Gli Stati Uniti non hanno alcuna intenzione di intervenire e credo che Obama abbia fatto questa dichiarazione anche perché ultimamente è stato spesso accusato, in particolare dal suo diretto avversario elettorale Romney, di aver assunto una linea troppo morbida nei confronti degli eccidi e dell’emergenza umanitaria in Siria.
Come giudica invece le dichiarazioni del ministro degli Esteri russo, secondo cui le potenze straniere “devono solo creare le condizioni per l’apertura di un dialogo” tra le parti in Siria, senza “ingerenze esterne”?
Un’affermazione di questo tipo non mi convince affatto, anche perché se si parla di “apertura di un dialogo” in sostanza si sta chiedendo di lasciare che la guerra civile faccia il suo corso.
Il presidente americano Obama ha anche definito “improbabile” un’uscita di scena “morbida per Assad”. E’ vero?
Assad in questo momento sta lottando per la vita, la sua e quella degli alawiti, spesso minacciati di genocidio. Proprio per questo, nel caso in cui dovesse uscire vincitore l’esercito della Siria libera, nessuno sarebbe in condizione di assicurare la loro sopravvivenza e, molto verosimilmente, cercheranno di ripiegare verso la loro roccaforte naturale di Latakia, protetta a est dalle montagne.
Damasco si dice pronta a discutere delle dimissioni di Assad nel quadro di un processo di dialogo nazionale. Cosa ne pensa?
Credo che una dichiarazione di questo tipo non cambi minimamente lo scenario complessivo. In passato Assad ha sempre proposto un dialogo con gli insorti, purché questo non comportasse come precondizione le sue dimissioni. Quindi, anche in questo caso, a un eventuale negoziato aperto dovrà inevitabilmente partecipare anche Assad, con la conseguenza che non si arriverà ad alcuna soluzione. A mio avviso si tratta dunque di una semplice tattica in linea con le dichiarazioni russe e cinesi.
(Claudio Perlini)