Anders Behring Breivik è stato condannato a 21 anni di carcere per la strage di Utoya nella quale ha ucciso 77 persone. L’assassino ha sorriso quando il magistrato ha letto le parole con le quali lo ha definito “sano di mente”. In precedenza, al momento di entrare in aula, aveva salutato alzando il pugno. Ora lo attende il carcere di massima sicurezza a Ila, periferia occidentale della capitale norvegese. Il tribunale ha optato per il massimo della detenzione previsto dal Codice Penale in Norvegia. Se l’assassino non mostrerà segni di ravvedimento, la sua carcerazione potrà essere estesa a 26 anni, facendolo restare dietro le sbarre fino a 59 anni. Quello che uscirà non sarà il giovane strafottente che abbiamo visto durante il processo, ma un anziano piegato dagli anni e da una lunga permanenza dietro le sbarre. Anche se non sono mancati coloro che hanno osservato che Breivik sconterà meno di quattro mesi di carcere per ciascuna delle sue vittime, senza contare i feriti. Ilsussidiario.net ha intervistato il giornalista norvegese Rolleiv Solholm, direttore del quotidiano The Norway Post, per chiedergli di commentare la sentenza.
Il tribunale ha considerato Breivik nel pieno delle sue facoltà mentali. Condivide questa sentenza, o sarebbe stato più giusto mandarlo in un ospedale psichiatrico?
La maggior parte dei norvegesi ha accettato la sentenza, che rappresenta la massima pena che può essere comminata nel nostro sistema giudiziario. Breivik è stato giudicato colpevole per i suoi reati. Va inoltre sottolineato che se sarà considerato ancora pericoloso per la società, la sua condanna potrà essere prolungata di altri cinque anni al termine dei 21 anni. Ciò in pratica equivarrebbe a un ergastolo.
Breivik ha sempre rivendicato di essere sano di mente. Che cosa ne pensa del suo comportamento?
Le ragioni della sentenza non sono ancora state pubblicate, e quindi non so su quali considerazioni si sia basata la decisione del giudice. Dal punto di vista di Breivik, essere considerato malato di mente avrebbe fatto fallire il suo intero progetto, in quanto ai suoi stessi occhi è il difensore della democrazia, e se fosse sto considerato uno psicopatico il messaggio che voleva trasmettere sarebbe stato del tutto compromesso.
La legge norvegese andrebbe modificata introducendo pene più severe per il reato di strage?
No, non è necessario. L’obiettivo di una condanna è quello di difendere la società, e se sarà necessario per motivi di sicurezza la pena di Breivik potrà essere prolungata.
In che modo il massacro di Utoya si è impresso nella memoria dei norvegesi?
Sono trascorsi ormai 13 mesi dalla strage, e quasi ogni giorno l’abbiamo commemorata sui media norvegesi. La maggior parte della società non vede l’ora di chiudere il caso e di dimenticare sia Breivik sia il suo massacro. Ovviamente, le persone che sono state colpite direttamente o attraverso i loro cari non lo dimenticheranno mai, in quanto sono rimaste uccise 77 persone, e tra chi è sopravvissuto ci sono persone con delle ferite terribili.
Questa sentenza ha anche un valore liberatorio?
Sì. Per la Norvegia nel suo complesso si chiude un anno terribile e drammatico, e quanti sono sopravvissuti al massacro ora hanno la possibilità di iniziare a ricostruire le loro vite. Le vittime sono state costantemente ricordate con toni drammatici da giornali e televisioni. Ora anche chi è rimasto coinvolto deve poter ricominciare di nuovo.
Quanto e in che misura la strage di Utoya ha cambiato la coscienza di popolo dei norvegesi?
Oggi ci rendiamo più conto di essere parte della società globale e del fatto che il male del mondo esiste. La Norvegia è stata protetta per molti anni da questo tipo di attentati, ma ora vediamo che facciamo anche noi parte di ciò che avviene negli altri Stati.
In che senso?
Sparatorie e bombardamenti erano già avvenuti in precedenza in Europa e in America. Questi attacchi terroristici si verificano costantemente nel resto del mondo, e noi abbiamo sempre letto il loro resoconto sui giornali pensando che la Norvegia ne sarebbe stata immune. Il 22 luglio 2011 ci siamo resi conto del fatto che non è così, perché il nostro Paese non è un’isola felice separata da tutto ciò che avviene altrove. Al contrario, anche noi ci troviamo ad affrontare le stesse sfide del mondo intero, a differenza di quanto era avvenuto prima di allora.
(Pietro Vernizzi)