“Solo un accordo tra il regime e i ribelli per sostituire Assad con un governo di unità nazionale può mettere al riparo le minoranze del Paese, inclusi i cristiani, dalle violenze sunnite. L’alternativa è il protrarsi all’infinito della guerra civile”. Ad affermarlo è Janiki Cingoli, direttore di Cipmo (Centro Italiano per la Pace in Medio Oriente). Ieri nel Paese si sono contati 32 morti tra gli insorti, dopo i 440 di sabato. E il vicepresidente Faruk al-Sharaa, dato per disperso da diversi media, è riapparso pubblicamente tornando al lavoro nel suo ufficio a Damasco.



Cingoli, in un momento in cui la durezza del conflitto in Siria non accenna a diminuire, quali soluzioni possono essere intraprese dalla comunità internazionale?

La comunità internazionale si trova in un sostanziale empasse, perché da un lato alza i toni nei confronti della pressione sempre più dura che il regime di Assad esercita contro un’ampia componente della società. Dall’altra c’è in tutti la chiara convinzione che non ci sono le condizioni per un’escalation di carattere militare analoga a quella che ci fu in Libia.



Per quale motivo?

Nei giorni scorsi un generale francese, il Capo di Stato Maggiore dell’Aeronautica, ha dichiarato che l’aviazione siriana ha più aerei di quella francese e che anche se la prima non è ben addestrata non ci sono le condizioni per un intervento analogo a quello avvenuto in Libia. Contro Gheddafi era stata possibile una no-fly zone da parte del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, mentre questa volta sarà impossibile ottenerla per il veto di Russia e Cina.

Qual è il consenso sociale di cui continua a godere Assad in Siria?

Il regime di Assad continua ad avere il sostegno di una parte della società, che teme l’affermarsi della maggioranza sunnita. Non si tratta soltanto della minoranza alawita, che è il cuore dei gruppi che sostengono il governo, ma anche delle minoranze cristiane e per certi versi curde.



Esiste quindi una via d’uscita politica o diplomatica?

L’unica possibilità di uscita è la cosiddetta “soluzione yemenita”, con un accordo tra governo e opposizione che preveda una fuoriuscita morbida del capo del regime. Non è un caso che nei giorni scorsi a Mosca un alto esponente del governo siriano abbia fatto balenare la possibilità che in un contesto di accordi lo stesso Assad potrebbe dimettersi. Si creerebbe così un governo transitorio di unità nazionale, che consenta di mettere fine all’attuale guerra civile. Di questo si tratta in buona sostanza, qui non c’è semplicemente la popolazione che insorge per cacciare Assad ma uno scontro in atto tra componenti diverse della società siriana.

La sua proposta è in parte simile a ciò che ha chiesto il Papa alcune settimane fa, quando ha invitato al “dialogo e alla riconciliazione, in vista di un’adeguata soluzione politica del conflitto” …

Il Papa intendeva esprimere una preoccupazione forte per la componente cristiana presente in Siria, e il timore che possa subire rappresaglie da parte della maggioranza sunnita nel momento in cui quest’ultima salirà al potere, per la vicinanza sempre dimostrata dai cristiani stessi nei confronti degli Assad. Una via d’uscita attraverso un accordo negoziato tra regime e opposizione può offrire maggiori garanzie alla tormentata minoranza cristiana.

 

Nel frattempo Hezbollah mostra sempre più spesso i muscoli a sostegno di Assad …

 

Quella di Hezbollah è nello stesso tempo una dimostrazione di forza e di debolezza. Il partito libanese ultimamente ha abbassato la capacità di presa sul governo siriano. Nel momento in cui il regime degli Assad va in crisi, a essere messo in discussione è stato da un lato il sostegno politico e l’influenza siriana in Libano, e dall’altro la garanzia di un passaggio libero di armi dall’Iran al Libano attraverso la Siria. Hezbollah quindi fa la voce grossa e sostiene il regime siriano, scontrandosi con i sunniti libanesi nel Nord del Paese.

 

In che senso quello di Hezbollah è anche un segno di debolezza?

 

In questo modo il partito sciita mostra il suo crescente affanno per il mutamento del contesto regionale. Quello che è in corso è uno scontro tra l’arco sunnita e quello sciita e il primo, sulla base dell’estensione del suo potere nell’ultimo periodo, cerca di interrompere la mezzaluna tra l’Iran, la Siria e il Libano.

 

In questo contesto sempre più complesso, da che cosa può dipendere la reale fattibilità di un’uscita negoziata con Assad?

 

Assad è una delle due componenti, la seconda delle quali è l’Iran. Non è un caso che Kofi Annan avesse dichiarato che era necessario associare l’Iran alla soluzione negoziata per la guerra civile siriana. Ban Ki Moon, ignorando i veti e le richieste provenienti da Israele e Stati Uniti, si recherà a Teheran per partecipare alla riunione dei Paesi non allineati perché ritiene che l’Iran sia una componente essenziale in quanto sta avvenendo. Occorre capire che quella siriana è una partita che si gioca in un contesto più ampio, e solamente se si troverà una soluzione di carattere regionale nelle tensioni in atto è probabile che si riesca anche a trovare una via d’uscita per la guerra civile che sta lacerando il Paese.

 

(Pietro Vernizzi)