Il vento della Primavera curda comincia a soffiare, questa volta proveniente dalla Siria. Dopo l’autonomia politica ottenuta e internazionalmente riconosciuta nel Nord dell’Iraq in seguito alla caduta del regime di Saddam Hussein, l’attuale conflitto siriano si sta rivelando una palla da dover prendere al balzo per il popolo curdo che, dopo decenni di discriminazione sociale, culturale, economica e politica, comincia a guadagnare quel peso che potrebbe presto rivelarsi determinante sulla delicata bilancia siriana. Questo non piace però alla Turchia che teme ripercussioni anche nel Kurdistan turco (la regione del Kurdistan è politicamente divisa tra Iran, Iraq, Siria, Armenia e, appunto, Turchia): Ankara alza la voce e schiera migliaia di soldati al confine con la regione curdo-siriana, lo stesso dove neanche una settimana fa hanno perso la vita 21 persone tra soldati turchi e ribelli del PKK, il Partito dei Lavoratori Curdi. IlSussidiario.net chiede al giornalista Alberto Rosselli, saggista storico e noto esperto di questioni curde, in che modo la guerra civile in Siria potrà aprire le porte all’eventuale creazione di uno Stato curdo indipendente.
Rosselli, quanto crede sia lontana una Primavera curda?
Teoricamente un’ipotesi del genere non è molto distante, ma la situazione è molto più complicata di quanto si possa pensare. Il problema è che non esiste una vera omogeneità all’interno del movimento indipendentista curdo: dobbiamo renderci conto che non c’è solo il PKK a rappresentare il popolo curdo, ma anche il PDK (Partito Democratico del Kurdistan), l’UPK (Unione Patriottica del Kurdistan) e il PJAK (Partito per la Libertà del Kurdistan) in Iran. Proprio per questo motivo le diverse indicazioni che provengono dai vari leader che agiscono all’interno del movimento indipendentista non si muovono tutte all’unisono.
Quanto sono cambiati i rapporti tra Siria e Turchia su questo argomento?
Senza dubbio molto. I rapporti tra i due Paesi sono molto più difficili rispetto al passato, in particolare rispetto a quando l’elemento curdo era maggiormente allogeno all’interno dei confini di entrambi i Paesi. Da una parte i curdi che si trovano all’interno dei confini siriani vengono letteralmente “adoperati” dalla Turchia come elemento destabilizzante nella situazione attuale siriana. Dall’altra, invece, i membri del PKK, il braccio forte del movimento indipendentista curdo, non sono visti di buon occhio dalla Turchia, tanto che molti tentativi di fuga all’interno dei confini si sono conclusi nel sangue.
Da cosa dipende il destino della comunità curda?
Principalmente dai rapporti della Turchia e della Siria con Iran e Iraq. Ma è necessario sottolineare che una eventuale Primavera curda, capace di giungere a una sorta di autodeterminazione di questo popolo, resta circoscritta unicamente all’interno del territorio siriano e non certo degli altri, dove i movimenti indipendentisti curdi non godono di alcuna libertà. Al contrario, in Siria è stato possibile approfittare dello scollamento all’interno del regime.
Cosa potrebbe accadere nel caso in cui il regime di Assad dovesse cadere?
Questo è il punto, perché con ogni probabilità qualunque regime prenderà il suo posto sarà evidentemente siriano, quindi i rapporti con la minoranza curda non cambieranno in modo così radicale. E’ vero, il governo formatosi in Iraq dopo la caduta di Saddam Hussein ha concesso qualcosa ai curdi, ma mai avrebbe permesso l’indipendenza. Ribadisco quindi che i curdi vengono più che altro “utilizzati” dai Turchi contro la Siria, ma in passato anche dall’Iran contro l’Iraq e viceversa. Purtroppo sui curdi si specula, ma fino ad oggi praticamente nessuno ha concesso loro qualcosa.
Cosa sarebbe necessario per assistere alla nascita di uno Stato curdo al di fuori dei confini siriani?
Innanzitutto che quattro Paesi, vale a dire Turchia, Iraq, Iran e Siria, stipulassero un trattato che riprenda quello di Sèvres del 1920 in cui si contemplava la nascita di uno stato curdo, ipotesi poi rinnegata dalle nuove formazioni che si sono venute a creare. Per giungere a un simile progetto, dunque, questi stati dovrebbero rimettersi al tavolo e decidere di concedere l’indipendenza ai 25 milioni di curdi sparsi sul territorio, ma è ovvio che nessuno di loro sceglierà di farlo. A meno che le Nazioni Unite o un organo sovranazionale imponesse loro la rivisitazione del trattato di Sèvres, ipotesi altrettanto improbabile.
Come cambierebbe la già difficile situazione dei cristiani che si trovano in quell’area a seguito di un tentativo dei curdi di svincolarsi dal giogo turco?
Purtroppo ricordiamo bene tanti tristi episodi avvenuti in passato, dal genocidio degli Armeni che tra il 1915 e il 1916 costò la vita a un milione e mezzo di persone, fino alla persecuzione di circa 4 milioni di cristiani caldei che risiedevano in Siria e ai confini con l’Iraq, quasi tutti massacrati. Il problema è che parliamo di una minoranza debole, fragile, in maggioranza ortodossa. La loro rappresentanza non è abbastanza solida, quindi personalmente credo che la situazione, già di per sé estremamente delicata, non potrebbe che peggiorare.
(Claudio Perlini)