Il rischio è quello che si crei un “Sahelistan”, un’area a nord del Mali che potrebbe diventare peggio dell’Afghanistan. L’allarme è stato lanciato dal ministro degli esteri francese, Laurent Fabius, preoccupato che l’unione dei movimenti separatisti, religiosi ed estremisti si traduca in un mix esplosivo di anarchia senza precedenti per la regione Sahelo-Sahariana. Anche le autorità spagnole si stanno muovendo per rimpatriare i propri cittadini nei pressi di Tindouf, zona dove era stata rapita Rossella Urru e nel nord del Mali. Sempre secondo la diplomazia di Madrid, il nord del Mali sarebbe in mano a gruppi radicali, capeggiati dal Mujao, il movimento per l’unicità e la jihad nel nord dell’Africa: una zona caldissima e da cui partirebbero tutte le direttive per le azioni terroristiche nella regione e non solo. A questo proposito abbiamo chiesto per Il Sussidiario.net un parere a Gian Micalessin, inviato e corrispondente di guerra. 



E’ d’accordo con la definizione di “Sahelistan”?

Da quando Timbuctù è caduta nelle mani dei gruppi legati ad Al Qaeda che controllano la zona e che hanno, di fatto, egemonizzato le popolazioni Tuareg che combattevano per l’indipendenza al Nord, tutta la parte settentrionale del Mali si è trasformata in una grande roccaforte terroristica. Voglio ricordare che a Timbuctù c’è già stato un caso di lapidazione di una coppia clandestina, sventolano le bandiere di Al Qaeda, sono stati distrutti i monumenti che non sono in linea con la religione islamica. Di fatto, tutto ciò si è già realizzato. Anzi. Un intervento militare in Mali è all’esame del Governo francese. Tutto questo è, comunque, da un mio punto di vista molto singolare.



In che senso?

E’ strano che i francesi si preoccupino molto dell’islamizzazione del Sahel e del Mali sebbene posso comprendere che si tratti di un territorio che rientra nelle loro competenze storiche. Si allarmano, invece, molto meno per la Siria dove sono i principali alleati dei gruppi fondamentalisti che stanno combattendo intorno ad Aleppo cioè sostenitori di un intervento che potrebbe portare al potere gruppi al cui interno Al Qaeda sta assumendo il completo monopolio.

Quali sono i territorio più “caldi” nella zona del Sahel sul fronte terroristico?

Tutto ciò che sta avvenendo nel Sahel si inserisce in un contesto più ampio che è quello che fa seguito alla progressiva espansione di Al Qaeda nel Maghreb e in tutto il Nord dell’Africa. Si va dal Sud dell’Algeria, al Mali sino a tutti quei territori dell’area spagnola dove un tempo operava il Fronte Polisario e che oggi sono, di fatto, sotto controllo di molti gruppi di Al Qaeda che sono implicati nel contrabbando di droga, armi e traffici umani. Proprio in quella zona è stata rapita Rossella Urru ad opera di un gruppo Al Qaedista. L’Africa è un porto franco da dove per le cellule di Al Qaeda è molto facile passare: oltre a controllare il Sahel, Al Qaeda è impiantata nel Niger, in Somalia, nel Nord del Kenya. Inoltre, nel bacino delle Primavere Arabe sono fioriti gruppi fondamentalisti che garantiscono sostegno e complicità a gruppi terroristici. Accanto all’Egitto, la zona del Sinai è ormai completamente fuori controllo.



 

La caduta del regime libico ha avuto un peso in questo nuovo assetto?

 

Certamente, perchè ha aperto una sorta di vaso di Pandora. Abbattuti i confini libici, sono passati carichi di armi, razziati dai depositi di Gheddafi, per mano di quegli stessi Tuareg arruolati dall’ex Raìs all’interno del proprio esercito.

 

Lei parlava del rapporto fra il Fronte Polisario ed Al Qaeda. Qual è il peso di questa alleanza nell’equilibrio della regione?

 

Da circa due anni sono stati segnalati contatti fra ex esponenti del Polisario e Al Qaeda. Questi ultimi, considerata la crisi in corso dopo l’armistizio fra il Polisario e l’Algeria che, fra l’altro, ha prodotto campi profughi che traboccano delle popolazioni delle ex aree spagnole ormai da trent’anni, sono stati non solo affascinati dall’ideologia Al Qaedista ma anche attirati dalla possibilità di ottenere facili guadagni commerciando in armi.

 

E’ ipotizzabile che questo tipo di cellule terroristiche venga esportato in Europa?  

C’è questo rischi da mesi, da quando sono stati razziati i depositi di armi appartenute a Gheddafi: fra queste c’erano centinaia di missili terra-aria o portatili che sono praticamente scomparsi: alcuni sono sicuramente finiti nel Nord del Mali. Si tratta di missili “in libertà” che potrebbero essere utilizzati per abbattere aerei civili. Ipotesi che ci riporta agli anni ’70 quando in Italia fu ritrovato un missile terra-aria pronto per essere utilizzato. Del resto, il tratto di Mare Mediterraneo che divide il Nord Africa dall’Europa è molto stretto e le armi potrebbero tranquillamente passare.

 

Ieri in Spagna, la polizia ha arrestato tre presunti membri di Al Qaeda, pronti a far saltare un bus. Non provenivano, però, dal nord dell’Africa ma si trattava di due ceceni e un turco. Il terrorismo Al Qaedista sta arruolando in paesi non tradizionalmente legati a questo tipo di terrorismo?

 

La rete di Al Qaeda è virtuale e si basa su collegamenti via internet ma poi diventa effettiva perchè permette alle varie cellule di avere punti di riferimento e di spostarsi agevolmente. Non dimentichiamo che, proprio in Spagna già durante gli attacchi alla stazione di Atocha nel 2004, c’è sempre stata la presenza di cellule.

 

Lei pensa che l’Italia sia a rischio in questo periodo?

 

Nel nostro Paese si è sviluppato un grosso controllo del territorio: inoltre, la vasta rete criminale che comprende mafia e camorra fa da deterrente alla formazione di cellule terroristiche perchè vogliono detenere il completo controllo dei traffici di armi. Gli esponenti mafiosi sono i primi ad informare la polizia della presenza di eventuali infiltrazioni terroristiche.