“Non siamo alla battaglia finale”. Fausto Biloslavo, giornalista triestino in prima linea sui fronti di guerra, è sicuro: in Siria non siamo ancora alla resa dei conti. Anche se il premier Riad Hijab è fuggito, anche se il ministro delle Finanze, Muhammad Jleilati è stato arrestato prima di riuscire a disertare, anche se la battaglia ad Aleppo si fa sempre più dura. D’altro canto, l’annuncio della madre di tutte le battaglie è stato dato più volte, e puntualmente è stato smentito dall’evolversi degli scontri.



È il regime che cade a pezzi o la Siria?

La Siria. Stiamo assistendo alla balcanizzazione dell’area, Aleppo è come Sarajevo: assediata. E non sappiamo quanto durerà questo assedio. I ribelli resisteranno strenuamente, e per schiodarli Assad dovrebbe radere al suolo la città, ma deve pensare anche al suo futuro, sul quale già aleggia pesantemente l’imputazione di crimini di guerra. 



Il premier Hijab, una volta in salvo, ha dichiarato che è in corso un genocidio…

È vero. Alawiti, al governo, contro i ribelli, sunniti. E viceversa. Perché anche i ribelli non vanno per il sottile, anche se non hanno la forza militare del regime: esecuzioni sommarie, vendette, ritorsioni… E i cristiani sono in mezzo ai due fuochi. Ricordiamoci che molti tra i ribelli invocano “alawiti sotto terra, cristiani a Beirut”.

Dunque, l’orrore di cui abbiamo avuto sentore non sembra dover finire presto…

Io vedo una guerra civile che farà scorrere ancora tanto sangue. Il futuro di Assad è segnato, ma la battaglia è dura e incerta. Il governo ha una forza militare ancora imponente, anche se non granitica, con il possesso dei mezzi corazzati e, soprattutto, il predominio dell’aria. Senza l’intervento di un’altra aviazione – evento altamente improbabile – questa situazione di vantaggio peserà sul prolungamento degli scontri. Dall’altra parte, i ribelli ricevono sì aiuti esterni, ma in minima parte, perché il pericolo estremismo pesa. Una situazione che mi ricorda l’Afghanistan degli anni 80.



Le voci si rincorrono incontrollate: c’è chi parla di defezioni da parte di altri ministri, c’è chi smentisce. Non solo la Siria, ma anche il regime perde i pezzi…

Non venderei la pelle dell’orso prima di averlo ucciso. Il regime sta perdendo pezzi in maniera impensabile fino a poco tempo fa, ma attenzione a chi passa dalla parte dei ribelli: il premier Hijab è un sunnita. I personaggi chiave del regime, quelli che hanno il controllo della popolazione, i capi dei vari servizi segreti, insomma quelli che hanno il vero potere nelle loro mani, non hanno disertato, anzi si stanno arroccando. 

In questa situazione non c’è la possibilità dell’intervento di un “super partes”, magari di un siriano non così compromesso con il regime da essere accettato anche dai ribelli?

C’è il generale Manaf Tlass, già fedele di Assad, fuggito a Parigi ai primi di luglio che sta lanciando segnali. Per guidare la transizione dovrebbe però fare un colpo di mano, eliminando Assad. In questo potrebbe avere l’appoggio degli Stati Uniti, ma io vedo questa strada piuttosto dura da percorrere. 

Parlando di Siria non si può non parlare dei vicini di casa, in primis Israele.

Ovvio che Israele non sia contento della situazione. Si accende una ulteriore minaccia per il suo territorio e la sua popolazione. Assad era un tiranno, ma le misure erano prese. Ora tutta la zona è come un grande Risiko, con la grande incognita di Iran e del suo potenziale nucleare. 

La prospettiva qual è, dunque…

La domanda che bisogna porci è: si va dalla padella alla brace? Perché alla fine, in una situazione come questa in cui si incrociano i veti politici, in cui non si riesce neanche a creare un corridoio umanitario vista l’opposizione di Cina e Russia, sono i gruppi estremisti a prendere il sopravvento.

 

(Daniela Romanello)