Sei persone più l’attentatore sono rimaste uccise nel tempio Sikh di Oak Creek, Milwaukee, nel secondo massacro negli Stati Uniti in meno di un mese. Lo sparatore, Wade Michael Page, un veterano dell’esercito e neo-nazi, ha mirato agli uomini con turbante all’interno del tempio. I sikh sono frequentemente vittime di odio razziale, soprattutto dopo l’11 settembre, in quanto spesso confusi con i musulmani a causa, appunto, del turbante che fa parte integrante dell’abbigliamento degli uomini.



Dopo la tragedia, sia Obama che Romney hanno espresso le loro condoglianze. La direttrice esecutiva della Sikh Coalition, Sapreet Kaur, ha dichiarato: “Vogliamo ringraziare gli americani di ogni credo e cultura per il sostegno alla comunità sikh nel deplorare questo atto di violenza. Vi invitiamo a continuare a sostenere gli americani sikh, addolorati per questa grande perdita e al contempo timorosi che questo odio possa essere rivolto contro i loro cari e i loro luoghi di culto.” Ha poi continuato dicendo che ”…con queste grandi tragedie diventa grande anche la responsabilità di avere una discussione a livello nazionale sull’importanza delle diversità religiose. Nessuna comunità dovrebbe avere paura a causa della sua fede”. Ilsussidiario.net ha intervistato Amardeep Singh, direttore di programma della Sikh Coalition, una organizzazione che combatte i pregiudizi che devono affrontare i sikh negli Stati Uniti.



Qual è la sua opinione sulla tragedia al tempio di Oak Creek? Quali gli effetti sulla comunità sikh?

E’ stata una tragedia orribile che, accanto alla perdita di sette vite, ha anche colpito profondamente il morale della comunità sikh, dove ora molti temono altri attacchi e pensano che non riusciranno mai a essere accettati. Dall’altra parte, vi è il dato positivo del grande sostegno dimostrato alla nostra comunità, sia dalle autorità che da singole persone.

E’ vero che molti vi confondono con I musulmani? E’ questo che porta ai pregiudizi esistenti?

Senza dubbio. Dall’11settembre, il turbante è diventata sinonimo di terrorismo e questo è stato amplificato negli ultimi undici anni dagli stereotipi diffusi nella società, molto difficili da cambiare. Non solo la gente non sa chi siamo, ma dobbiamo subito chiarire che siamo americani, che non siamo terroristi, etc. La percezioni di noi e della nostra fede è peggiorata e ora dobbiamo combattere non solo l’ignoranza, ma un odio dichiarato.



Cosa fa la vostra organizzazione?

Siamo un’organizzazione di diritti civili e ci occupiamo di patrocinio, patrocinio legale, educazione e organizzazione delle comunità per affrontare il tema della discriminazione verso la nostra comunità. Siamo figli dell’11 settembre. Ci siamo costituiti in quella stessa notte a New York, perché vi erano stati immediati attacchi contro i sikh, per esempio a Richmond Hill, dove un anziano sikh e due adolescenti erano stati assaliti con violenza. I fondatori della nostra organizzazione avevano capito che questi attacchi sarebbero continuati anche in futuro e si sono così preparati a difendere i sikh.

Secondo lei i sikh sono ben integrati nella società americana?

No, non siamo sufficientemente integrati, in parte anche per una discriminazione ufficiale. Il governo non consente ai sikh di servire nella polizia o nell’esercito americano, a meno che si accetti di rinunciare ad alcuni principi della nostra fede. Così come vi sono schedature negli aeroporti. Ciò rende difficile opporsi alla discriminazione quando anche il governo si comporta in modo simile. Il governo può anche invitare a non discriminare, ma se lo fa lui stesso, il messaggio che arriva alla società è evidentemente sbagliato.

Oltre che fermare la discriminazione, cosa può fare il governo per aiutare i sikh a integrarsi?

Credo che, alla fine, questo debba essere uno sforzo collettivo. Occorre che la comunità sikh, l’amministrazione pubblica, gli educatori, la società civile e i media lavorino insieme per creare un ambiente in cui i sikh e la loro fede non siano vituperate ma apprezzare e, magari, anche celebrate. Non voglio soffermarmi su un aspetto specifico, ma piuttosto sulla necessità di un lavoro comune.

 

(Maria Bond)