L’uccisione dell’ambasciatore americano Chris Stevens e di altri tre membri della missione diplomatica Usa di Bengasi, in Libia, ha scatenato la reazione di Obama. Due cacciatorpedinieri militari americani sono stati inviati nei pressi delle coste libiche “come misura preventiva”’, secondo quanto riferito da una fonte militare citata dai media americani. “Senza voler commentare movimenti specifici di navi, – ha aggiunto la fonte – i militari americani adottano regolarmente misure di precauzione in alcune situazioni. Non è solo logico, è anche una scelta di prudenza”. Con il passare delle ore, però, la protesta anti-Usa dilaga in Egitto come in Yemen, dove si continuano a registrare scontri e vittime. Il generale Carlo Jean, esperto di strategia militare e di geopolitica, contattato da IlSussidiario.net, non è però d’accordo con la decisione del presidente americano.



Come mai?

E’ un’operazione decisamente fuori dalle righe. Non credo che gli Stati Uniti abbiano l’intenzione di attaccare i salafiti, violare la sovranità della Libia o tanto meno quella dell’Egitto. Molto verosimilmente si tratta di una mossa che risente soprattutto della campagna elettorale: per far fronte alla reazione degli elettori americani, Obama ne ha combinata un’altra delle sue, visto che non è la prima volta che compie azioni così spettacolari quanto sostanzialmente inutili. Sono quindi dell’idea che Paesi così importanti dovrebbero senza dubbio mostrare una maggiore prudenza e un maggiore sangue freddo.



Che effetto rischia di produrre l’invio delle navi da guerra davanti alle coste libiche?

Una scelta del genere rischia solo di produrre un effetto contrario, cioè quello di veder aumentare l’astio nei confronti dell’America. Questo deriva essenzialmente da due fattori: dal supporto che gli Stati Uniti hanno dato a Israele e dal tentativo di convertire il cuore e la mente dell’Islam alla democrazia di tipo occidentale, a parer mio assolutamente inconcepibile.

Cosa può dirci dell’attuale situazione in Libia?

E’ chiaro che in Libia la situazione è estremamente confusa e che il governo non è in condizione di controllare le milizie. Proprio per questo l’unica strada da intraprendere in vista di una eventuale stabilizzazione del Paese è quella di una forte collaborazione con il governo per metterlo nelle condizioni di costituire delle forze di polizia in grado di mantenere l’ordine e forze nazionali che riescano a neutralizzare, se non a disarmare completamente, le milizie.



Cosa sta accadendo invece in Egitto?

In Egitto le forze armate hanno il pieno controllo della situazione e obbediscono a ogni ordine del presidente, al contrario di quanto accade invece nello Yemen dove la situazione è molto simile a quella libica. A mio giudizio, in un contesto attualmente così caotico, sarebbe opportuno dimostrare una certa prudenza, non come fanno invece persone come il reverendo Terry Jones (il pastore produttore del film antislamico ndr). Incitare in questo modo all’odio contro l’Islam significa solamente offrire ai salafiti un pretesto per attaccare, soprattutto in cirenaica, dove hanno già saccheggiato diverse moschee sufi che sono da loro considerati eretici.

Secondo lei l’attuale protesta anti-Usa da chi è portata avanti?

La rivolta anti americana non è condivisa né dal governo né dal popolo libico. Sanno benissimo che gli Stati Uniti sono stati determinanti nell’abbattere Gheddafi e nel creare l’attuale situazione, quindi credo che oltre ai salafiti vi siano anche coloro che fanno ancora parte dei seguaci di Gheddafi, i quali ovviamente hanno diversi motivi per avercela con gli americani.

Obama ha detto che il governo egiziano non è né alleato né amico degli Stati Uniti e ha messo in guardia contro un “vero grande problema” nel caso in cui il Cairo non fosse in grado di proteggere l’ambasciata americana nella capitale egiziana. Cosa ne pensa?

Credo che anche questa sia un’affermazione decisamente fuori luogo. L’Egitto è legato agli Stati Uniti e il presidente Morsi lo ha recentemente confermato. I militari americani continuano a mantenere ottimi legami con quelli egiziani e il governo Morsi ha assicurato che continuerà a rispettare gli accordi di pace tra Egitto e Israele che sono poi essenziali per la pace in Medio Oriente. Mi sembra strano che, per avere qualche voto in più, un presidente di un Paese importante come gli Stati Uniti utilizzi situazioni del genere solo per fare battute ad effetto.

Come potrà risolversi ora l’intera vicenda?

Molto probabilmente non dovrà accadere niente di particolare e il tutto si attenuerà a poco a poco con il passare del tempo. Rimane però il fatto che in futuro gli Stati Uniti dovranno fare molta più attenzione nelle loro dichiarazioni decisamente troppo ardite. E’ naturale condividere la solidarietà nei confronti degli Usa dopo l’uccisione dell’ambasciatore a Bengasi, ma sarebbe stato opportuno reagire in modo molto più ragionevole e razionale.

Per esempio?

Come dicevo offrendo una collaborazione al governo libico per rafforzare le forze armate e quelle di polizia. Nel caos che tuttora permane non si può pretendere che questo governo riesca a controllare le milizie presenti.

Per quanto riguarda invece la sicurezza nazionale italiana?

Di fronte a una situazione talmente instabile è chiaro che l’Italia non può disinteressarsi totalmente. Per questo credo che dovrebbe fare uno sforzo maggiore per concorrere a creare in questi Paesi forze armate efficienti. E’ però evidente che un’eventuale azione italiana dovrebbe tradursi in una volontà europea: se il contagio dovesse coinvolgere il nostro Paese, inevitabilmente si diffonderà in tutto il Continente.

 

(Claudio Perlini)

 

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