La morte dell’ambasciatore Chris Stevens, ucciso due giorni fa a Bengasi in un attacco ad opera di gruppi armati estremisti riconducibili ad Al Qaeda, scuote il mondo arabo. L’oltraggioso film su Maometto, che il dipatimento di Stato Usa ha giudicato “disgustoso e riprovevole”, è stato il motivo scatenante di numerose proteste, sfociate mercoledì nell’assalto all’ambasciata statunitense al Cairo e ieri in disordini di piazza nello Yemen. Sale così la tensione alla vigilia del viaggio di Benedetto XVI in Libano. Il Paese dei cedri, per ragioni storiche, è una terra di incontro e di dialogo tra fedi diverse e il suo equilibrio è ancito anche da un delicato meccanismo costituzionale. E a quella convivnenza di fedi la Chiesa tiene moltissimo. 



Resta da capire se e in che misura l’instabilità di molte piazze arabe, e con essa l’improvviso riacutizzarsi di un nuovo “scontro-lampo” di civiltà dopo questo “11 settembre della diplomazia”, potrà condizionare la visita di Benedetto XVI, che comincia oggi. Certo è che per i cristiani si apre un periodo difficile, dice a IlSussidiario.net Georges Corm, professore della Saint Joseph University di Beirut, anche a causa degli errori dell’Occidente. “L’Occidente sta cercando di mettere sotto controllo la rivoluzione araba, creando una strana alleanza con le monarchie petrolifere e provocando sentimenti di profonda ansietà in tutti i cristiani del mondo arabo”. “La visita del Papa in Libano è un’opportunità di incontro per tutto il mondo arabo” – spiega Corm – “musulmano e cristiano, all’insegna della riscoperta della dignità dell’essere umano. Ma anche un’occasione perché le potenze dell’Occidente un tempo definito come cristiano, si rendano conto che le loro politiche in Medio Oriente mettono a grave rischio la sopravvivenza della Chiesa in tutta la regione”.



Qual è per il Libano il significato della visita del Papa?

Questa per il mio Paese non è la prima visita di un Papa. Tutti, cristiani e musulmani, ricordano il viaggio di Giovanni Paolo II, acclamato dall’intero Libano nel 1997. Speriamo quindi che anche questa volta la visita del Santo Padre possa permettere a tutti i libanesi, a prescindere dalla loro appartenenza religiosa, di rallegrarsi per la presenza del Pontefice.

Quella dei cristiani in Libano è una presenza a rischio?

Sì è così, soprattutto dopo quanto è avvenuto ai cristiani irakeni in seguito all’occupazione americana, per la quale molti di loro sono stati costretti a lasciare il Paese. Lo vediamo attualmente anche in Siria, che è attraversata da flussi imponenti di jihadisti che si recano nel Paese con il pretesto di partecipare alla rivoluzione.



Che cosa può dire il magistero di Ratzinger ai cristiani libanesi?

Nell’enciclica “Caritas in Veritate”, Benedetto XVI ha approfondito il magistero sociale della Chiesa rinnovando la tradizione cattolica che rifiuta qualsiasi forma di sfruttamento dell’essere umano per degli interessi materiali. L’enciclica dovrebbe essere promossa maggiormente da parte del Vaticano e delle Chiese mediorientali.

Anche i musulmani hanno qualcosa da imparare?

Nell’autentica tradizione musulmana c’è lo stesso approccio dottrinale, che si contrappone allo sfruttamento dell’essere umano, all’ingiustizia sociale e all’ineguaglianza nella distribuzione del reddito. I leader religiosi, musulmani e cristiani, si possono incontrare su queste basi. I valori della “Caritas in Veritate” sarebbero di grande aiuto nel mondo arabo, dove l’ingiustizia sociale è così profonda ed esiste un’enorme fortuna nelle mani di pochi miliardari, mentre la maggior parte della regione è ancora gravemente sottosviluppata.

I cristiani possono ambire legittimamente a un livello di presenza maggiore di quanto avviene ora?

Ciò sarà possibile solo quando le grandi potenze occidentali cesseranno di sostenere i movimenti fondamentalisti islamici, che a loro volta godono della protezione di Arabia Saudita e Qatar. L’Occidente sta cercando di mettere sotto controllo la rivoluzione araba, creando una strana alleanza con le monarchie petrolifere e provocando sentimenti di profonda ansietà in tutti i cristiani del mondo arabo.

In che senso l’Occidente vuole controllare la rivoluzione araba?

L’Occidente sta cercando di imbrigliare il movimento rivoluzionario, che è nato all’insegna di uno spirito liberale, permettendo alle monarchie petrolifere di rafforzare i partiti islamici.

Il Papa di recente, riferendosi alla Siria, ha invitato tutti alla “ricerca della pace, anche da parte della comunità internazionale, attraverso il dialogo e la riconciliazione, in vista di un’adeguata soluzione politica del conflitto”. E’ davvero possibile quanto prospettato dal Santo Padre?

Le potenze occidentali e i loro alleati nel Golfo hanno un pessimo atteggiamento nei confronti della Siria, che consiste nel finanziare una rivoluzione portata avanti da milizie armate, che non sono più un semplice esercito di liberazione. E’ giusto criticare anche l’Esercito Siriano Libero, e non soltanto il regime di Assad come avviene regolarmente.

Quali sono le alternative a una guerra civile senza fine?

La Russia ha invitato più volte le diverse parti a sedersi attorno a un tavolo. Tra le opzioni sul campo, c’è anche quella di organizzare un referendum per decidere se Assad e la sua famiglia debbano restare al loro posto o dimettersi da tutti gli incarichi. E’ una vera tragedia continuare a devastare il Paese dal punto di vista umano e materiale come sta avvenendo ora. L’opposizione del resto è disunita e priva di un reale seguito in Siria, e quindi una soluzione politica converrebbe a tutti.

(Pietro Vernizzi)

 

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