Dopo aver dato via il via libera ad un fondo d’investimento del Qatar da cento milioni di dollari, volto a riqualificare le Banlieue, la Francia sembra intenzionata ad allentare ulteriormente i vincoli posti a difesa dei propri confini culturali. L’idea di Parigi è quella di rendere più agevole l’ottenimento della cittadina francese. Rimuovendo  l’obbligo di superare un test di cultura generale introdotto dalla precedente amministrazione, e quello di disporre di un contratto a tempo indeterminato. «E’ importante affermare una volontà forte di integrazione attraverso la cittadinanza. Non dobbiamo aver paura di questi nuovi francesi che sono una forza per la Repubblica», ha dichiarato Manuel Valls, ministro dell’Interno nato a Barcellona e naturalizzato francese a 20 anni. Un’impostazione contraria, a dire il vero, rispetto a quella si qui tradizionalmente assunta dalla Francia. Il sociologo Gian Carlo Blangiardo ci spiega perché.



Secondo lei le misure annunciate sono in linea con il modello francese?

In realtà, il modello francese è sempre stato, almeno nelle intenzioni, volto a francesizzare gli stranieri; un’impresa agevolata, in parte, dal fatto che il Paese hanno sempre avuto a che fare con stranieri prevalentemente francofoni, provenienti, per lo più, dalle ex colonie.



E l’impresa è riuscita?

Fino a un certo punto. A partire soprattutto dalle seconde generazioni, ci sono stati non pochi problemi di integrazione.

Come nelle Banlieue. Cosa ne pensa dell’istituzione di un fondo qatariota?

Mi pare il tentativo di andare incontro alle cause di disagio che hanno generato sommosse e manifestazioni, proprio tra le seconde generazioni. Benché il fine sia quello di contrastare le cause di rivolta, e  fornire condizioni di vita migliori, è difficile prevederne gli effetti. Tanto più che non è ancora chiaro come saranno usati quei soldi.

Come valuta, in ogni caso, l’ipotesi di rimuovere il vincolo relativo al test di cultura generale?



L’obbligo di conoscere non solo la lingua, ma anche la storia e le tradizioni del Paese di cui si vuole acquistare la cittadinanza mi pare irrinunciabile. Si tratta di una misura di buon senso. Rimuovere quelle condizioni, del resto, può essere molto rischioso. Per esempio, lo straniero potrebbe non rispettare le regole perché, semplicemente, non le conosce. Già non è per nulla scontato che chi vive in un Paese da anni non ne conosca a fondo le regole. A maggiore ragione si rende necessario che chi vi si trasferisce per viverci si metta nelle condizioni per poter interagire con il sistema che lo ospiterà. Conoscere le tradizioni di un popolo, ovviamente, è fondamentale per evitare di imporre le proprie. In sostanza, il rischio è che ad essere danneggiati siano proprio gli stranieri.

Come giudica, invece, l’idea di concedere la cittadinanza anche a chi non ha un contratto a tempo indeterminato?

Quanti italiani, oggi, hanno problemi con il lavoro pur non potendo considerarsi cittadini di serie B? Di per sé, quindi, non considero il tempo interminato in quanto tale un vincolo necessario. Casomai, è importante poter dimostrare di disporre di condizioni reddituali tali da assicurare garanzie di stabilità, radicamento e integrazione; se uno può mantenersi, ovviamente,  diminuiscono i rischi di emarginazione sociale.

Cosa accadrebbe sei il nuovo modello francese fosse importato in Italia?

Non credo che si determinerebbero particolari effetti. Anzitutto, le nuove cittadinanze italiane sono solo alcune decine di migliaia. Tra un po’ di anni, inoltre, avremo tanti stranieri che avranno maturato i dieci anni di naturalizzazione necessaria per potere procedere alla richiesta di cittadinanza. Dopo questo periodo, darei per scontato che la conoscenza della lingua, delle nostre leggi e delle nostre tradizioni sia di fatto acquisita.

In Italia, in effetti, il dibattito ruota più che altro attorno alla concessione dello ius soli

Personalmente, credo che la concessione della cittadinanza a chi nasce all’interno di un determinato territorio abbia senso unicamente se viene contemperata con alcuni fattori: non è sufficiente, per intenderci, essere occasionalmente nati in Italia, e risiedere o aver trascorso la maggioranza della propria vita altrove. L’ipotesi è, invece, ragionevole nel caso in cui, ad esempio, si risieda in Italia, e lì si èstati educati. Non dimentichiamo, tuttavia, che la cittadinanza di un minorenne non può essere svincolata da quella dei genitori. Non è un caso che se essi ne acquisiscono una nuova, questa viene automaticamente assunta dai figli.

 

 

(Paolo Nessi)