Studenti francesi a scuola di morale laica durante l’orario scolastico. E’ la proposta del ministro dell’Educazione nazionale, Vincent Peillon, che nel corso di un’intervista al “Journal du dimanche” ha sottolineato che “per dare la libertà di scelta, bisogna essere capaci di strappare l’allievo a tutti i determinismi, familiare, etico, sociale, intellettuale”. Ilsussidiario.net ha intervistato il professor Salvatore Abbruzzese, docente di Sociologia delle religioni all’Università di Trento.



Al posto delle lezioni di religione, dall’anno prossimo la Francia avrà dei corsi di morale laica …

La proposta è piuttosto confusa, anche se nasce da un problema reale. E’ vero che in Francia il processo di modernizzazione, la crisi e tutte le dissoluzioni insite nella modernità avanzata hanno condotto a una situazione di stallo. E’ in atto una caduta del legame sociale, dell’attenzione nei confronti delle istituzioni, dell’universo culturale, dei valori della solidarietà e della convivenza. E’ una società che è giunta alla fine di un ciclo e deve cominciarne un altro, quindi è una situazione di svolta. Il problema reale esiste, l’idea che si possa farvi fronte con delle lezioni di morale laica mi sembra contraddittoria.



Per quale motivo?

La morale è una branca della filosofia, e non capisco che statuto possa avere una lezione di morale separata dalle grandi tesi filosofiche che l’hanno originata. Una morale che si autosorregga da sola, svincolata da una visione della realtà o con la pretesa che questa realtà si riduca semplicemente al condizionamento sociale, è veramente una grande ingenuità. Il secondo errore del ministro Peillon è il fatto di ritenere che sia sufficiente un insegnamento di morale, per uscire dalla crisi valoriale che la società francese sta vivendo.

Che cos’è la laicità di cui parla il ministro?



L’idea di laicità, non oltremodo specificata, nel contesto francese fa pensare immediatamente a una morale completamente autofondata che in qualche modo si trinceri dietro i confini di un universo sensibile, materiale e a portata di mano. E’ un’idea che si basa inoltre sull’etica come amor proprio e su una visione dell’individuo che diventa giudice di se stesso. In questa visione, non c’è nulla che dia ragione di qualcosa che vada al di là.

L’idea di ragione che Peillon vuole insegnare a scuola è però sottesa a tutte le filosofie e religioni. Non può essere quindi una buona base per lo studente?

La ragione spinta fino alla fine del suo percorso sfocia in un desiderio di bene assoluto e di vittoria radicale sul male. Su questo non ci si rassegna, e quindi la ragione termina sempre con un appello, un richiamo e un grido al di là di se stessa. Il ministro Peillon parla invece di una ragione completamente autofondata, presupponendo che quest’ultima possa essere da sola la base della convivenza, e io la ritengo un’idea abbastanza peregrina.

 

E’ giusto che, come dice Peillon, il compito di distinguere il bene dal male spetti allo Stato?

 

Il problema della Francia è che non riesce più a vedere la famiglia come agenzia educativa. In parte perché i genitori stessi sono i primi a essere naufragati sul problema dell’educazione, in parte perché non si parla più di famiglia, bensì di coppia con figli.

 

In Italia però difficilmente si arriverebbe, almeno per ora, a una proposta come quella di Peillon …

 

Capisco che per noi italiani l’idea che lo Stato voglia assumersi il compito di distinguere tra bene e male è semplicemente ridicola, ma è nella tradizione dello Stato francese il fatto di essere anche un propositore di valori. In Francia il concetto di società civile non esiste, ci sono soltanto lo Stato e il cittadino. Le figure intermedie sono state spazzate via, e questa è la grande differenza rispetto al nostro Paese. In Francia ci sono soltanto degli organi eletti dai cittadini.

 

Quali sono le conseguenze di questo fatto?

 

Quando c’è da assumere la funzione educativa, a farsene carico possono essere soltanto lo Stato o il cittadino, cioè la famiglia. E siccome quest’ultima non sembra essere più nelle condizioni di reggere al suo ruolo, lo Stato si sente chiamato in causa. La Repubblica ritiene infatti di essere in prima linea, e non vede altri attori che possano fare qualcosa in modo autonomo, o li considera semplicemente come delle agenzie istituzionali e quindi come realtà concorrenziali.

 

A che cosa si riferisce in particolare?

 

Alle chiese e ai gruppi politici, ciascuno dei quali è concepito come una parte rispetto al tutto che è lo Stato. Quest’ultimo ha quindi il timore che nel silenzio della scuola, le uniche idee che circolino siano quelle di queste agenzie alternative che peraltro sono anche profondamente minoritarie, a eccezione della religione islamica che in Francia è l’istituzione più potente.

 

(Pietro Vernizzi)