Ancora morti, ancora sangue in Siria. Quindici uomini sono stati passati sommariamente per le armi nei giorni scorsi dalle forze fedeli al regime durante un’offensiva lanciata contro il villaggio di Al Mastouma, nella provincia di Idlib. Intanto, a due mesi dall’ultima intervista, Bashar Al Assad è tornato a parlare alla nazione: il presidente siriano, dalla Casa delle arti e della cultura, in pieno centro di Damasco, ha annunciato che mai il Paese potrà negoziare “con chi usa la violenza e con quelli che sono dietro questi fantocci dell’Occidente”. A “chi non ha tradito la Siria”, invece, Assad propone un’ipotesi di dialogo e annuncia la possibile creazione di una Conferenza per la riconciliazione nazionale e di una nuova Costituzione. Dura l’immediata reazione francese, attraverso le parole del portavoce del ministero degli Esteri, Philippe Lalliot, secondo cui “le proposte di Assad mostrano ancora una volta la negazione della realtà nella quale si è rinchiuso per giustificare la repressione del popolo siriano”. Secondo il diplomatico, infatti, le dichiarazioni del presidente siriano, “che giungono subito dopo la pubblicazione da parte dell’Onu di un rapporto che evidenzia le violazioni commesse dal suo regime, non ingannano nessuno”. Per questo motivo, ha concluso, “l’uscita di scena di Assad rimane una condizione inevitabile per la transizione politica” della Siria. Abbiamo chiesto un commento al vaticanista del Giornale Radio Rai ed esperto di Medio Oriente, Riccardo Cristiano, autore del libro Il giorno dopo la primavera.



Cosa può dirci della fuga dalla Siria da parte della comunità cristiana che sembra farsi sempre più massiccia?  

Sembra che la maggior parte dei cristiani che fuggono dalla Siria si diriga verso il Libano. Nonostante questa possa apparire come la migliore soluzione, anche in Libano le condizioni restano comunque disperate, in particolare a causa dei limiti imposti da Hezbollah all’accoglienza dei profughi provenienti proprio dalla Siria.



Come giudica l’attuale conflitto siriano?

Di guerre, all’interno della Siria, ce ne sono sicuramente più di una. Sono per lo più guerre di propaganda, a favore e contro il regime di Assad: nel primo caso gli oppositori vengono semplicemente definiti “terroristi” e si cerca di convincere il mondo intero che in realtà Assad è attivamente impegnato nella protezione delle minoranze. Anche questa, però, è una “carta” che il regime sta scegliendo di giocare contro i sunniti (che rappresentano la maggioranza sul territorio siriano) per presentarsi come il difensore delle altre realtà presenti.



Cosa pensa dell’esodo dei cristiani dalla Siria e della loro attuale situaizone?

Quello che emerge dalle statistiche ufficiali è che in Siria, in 21 mesi di conflitto, vi sono stati circa 60 mila morti, vale a dire la metà di quelli registrati in Libano in 15 anni di guerra civile. Questo è un dato assolutamente rilevante, a cui bisogna aggiungerne un altro, rilevato dall’Onu, secondo cui nei prossimi mesi i profughi che saranno riusciti a fuggire all’estero saranno circa due milioni, una cifra che rischia di destabilizzare tutto il Medio Oriente. All’interno di un fenomeno di questa portata, i cristiani hanno rappresentato solo inizialmente un elemento meno colpito degli altri, almeno rispetto agli alawiti e ai sunniti. Poi, quando la situazione è precipitata, fino ai bombardamenti dei centri urbani, la ferocia degli attacchi ha inevitabilmente colpito anche la comunità cristiana.

Come potrà evolvere l’attuale situazione?

La mia paura è che la questione cristiana in Siria possa essere oggetto di un gioco delle propagande. La cosa paradossale è che Assad si presenta come nemico dei fondamentalisti, quando è proprio lui ad essere alleato di Hezbollah e dell’Iran. Dopo aver costruito un asse geopolitico di questo tipo, la sua dichiarata posizione in Siria appare quanto mai particolare.

Cosa prevede per la comunità cristiana?

Sul piatto vi sono sostanzialmente due opzioni: la prima, certamente più pessimistica, consiste nel vedere il regime come il “male minore”. Per questo la comunità cristiana potrebbe rimanere vicina a una realtà che perlomeno può garantire più degli altri una certa sopravvivenza e praticabilità della vita sociale. L’alternativa, infatti, è rappresentata dai fondamentalisti, con i quali la situazione si aggraverebbe notevolmente.

La seconda opzione?

Nella seconda i cristiani, i quali si considerano a tutti gli effetti parte integrante della società siriana, che soffre allo stesso modo i patimenti delle altre realtà presenti, sono portati a considerare il regime come il vero e primo male. Allora, insieme alle altre comunità, si potrebbe immaginare di costruire una via d’uscita da questo totalitarismo che possa portare a una forma di convivenza rispettosa. Non parliamo dunque di minoranze, ma di semplici diversità all’interno della stessa società.

Ipotesi davvero possibile?

Bisogna ancora capire se all’interno dei Paesi in cui convivono musulmani e cristiani un futuro diverso sia possibile o meno. Alcuni dicono di no e che tale è lo stesso Islam ad essere totalmente incompatibile con il concetto di democrazia. In questo caso, quindi, la prima delle due opzioni potrebbe essere quella più ovvia. A mio giudizio esistono però esempi storici che evidenziano quanto questo non  sia del tutto vero: credo che ci troviamo di fronte a un Islam “ammalatosi” dopo l’arrivo dei totalitarismi e che, solo se ce ne liberassimo, potremmo allora auspicabilmente immaginare una “guarigione” del pensiero islamico. In Egitto abbiamo cominciato a vedere qualcosa in tal senso, ma ovviamente il percorso da percorrere è ancora molto lungo e travagliato.