Due progetti per aiutare i profughi siriani in fuga da una delle guerre più sanguinose al mondo. E’ quello di Avsi Libano, che sta intervenendo nelle zone di confine per impedire che le famiglie rifugiate muoiano di freddo e per consentire ai bambini di continuare a frequentare la scuola anche nelle condizioni drammatiche in cui vivono. I due interventi, indispensabili per la sopravvivenza e per il futuro dei profughi siriani, sono finanziati con quanto raccolto in tutta Italia dalle Tende di Natale 2012. Ilsussidiario.net ha intervistato Marco Perini, responsabile di Avsi in Libano.
Quanti sono i rifugiati siriani in Libano?
A oggi il flusso di siriani che stanno arrivando in Libano in forma ufficiale o non ufficiale continua. Parliamo di circa 6mila rifugiati conosciuti ogni settimana, e quindi di un esodo ancora massiccio. Oggi in Libano siamo circa a 120mila persone registrate ufficialmente dall’Alto Commissariato per i Rifugiati. In realtà sono molte di più, perché tra i rifugiati ci sono quelli che hanno bisogno di iscriversi all’UNHCR per ricevere gli aiuti, ma anche le famiglie ricche di Damasco che possono fare a meno di uno status di rifugiato politico. Ma soprattutto, ci sono persone che per varie ragioni politiche non si iscrivono perché hanno paura che le liste con i loro nomi finiscano nelle mani sbagliate, e quindi il loro futuro diventi ancora più incerto.
Quattro vostri dipendenti sono presenti in Beqa’ Ovest. In che cosa consiste il vostro progetto?
Si tratta di un intervento ancora in corso, urgente, necessario e drammatico. Lavoriamo in quattro Comuni per aiutare oltre 2mila persone, composte da siriani non ancora iscritti all’UNHCR e dai libanesi rimpatriati. Questi ultimi ormai da moltissimi anni vivevano in Siria per i motivi più diversi e sono tornati in Libano dove non hanno più niente. Noi offriamo loro dei materiali per permettere loro di combattere il freddo. A dicembre in Beqa’ Ovest è scesa la neve.
Dove dormono i rifugiati?
I profughi sono ospitati o in tende o in camere di qualche metro quadrato in cemento senza pavimento. Quando sono arrivati c’erano ancora temperature calde e indossavano scarpe e vestiti estivi. Noi distribuiamo loro coperte, stufe e gasolio per evitare che muoiano di freddo. Siamo finanziati dall’Ue e dai fondi che Avsi ha raccolto tra gli amici italiani, e non solo, con la campagna delle Tende di Natale.
Che cosa fate invece nel Sud del Libano?
In queste zone al confine con Israele, nelle province di Marjeyoun e Bint Jbeil, lavoriamo in 11 scuole pubbliche libanesi che hanno accolto bambini siriani. Il nostro tentativo è non fare perdere loro l’anno scolastico, in quanto i bambini libanesi studiano alcune materie in inglese e francese, mentre quelli siriani imparano solo in arabo, e quindi l’accesso alla classe è disuguale e i nuovi arrivi abbassano molto il livello dell’insegnamento.
In che modo fornite loro un aiuto?
Stiamo organizzando dei corsi di recupero quotidiani per i bambini siriani rimasti indietro nel programma. Nello stesso tempo svolgiamo un lavoro di accompagnamento psicologico con le assistenti sociali per permettere ai piccoli rifugiati di integrarsi il meglio possibile in un contesto difficile. Si tratta di bambini che si trovano in una zona non del tutto sicura e vivono in rifugi precari dopo essere fuggiti dalle loro abitazioni. Quelle dei rifugiati sono inoltre famiglie monoparentali, in quanto le mamme sono scappate con i loro figli, mentre i padri sono rimasti in Siria a proteggere le case o a fare la guerra.
La situazione al confine con la Siria è tranquilla o ci sono anche incursioni di gruppi armati?
Le zone di confine del Libano sono utilizzate come retroguardia dall’Esercito Siriano Libero. Sovente accade che l’Esercito regolare entri via terra o via aerea nei villaggi al confine tra i due Paesi con incursioni armate. Le milizie ribelli al contrario hanno le basi in Libano, entrano in Siria e poi ritornano al di qua del confine.
Quali misure di sicurezza adottate per proteggere il vostro personale?
Per operare nel Sud abbiamo bisogno di permessi militari, in quanto si tratta di zone al confine con Israele. A Beqa’ Ovest invece monitoriamo quotidianamente la situazione, sia attraverso i canali dell’ambasciata d’Italia sia attraverso l’Onu. In certi giorni ci sono zone dove per motivi di sicurezza non possiamo entrare.
(Pietro Vernizzi)