Il governo italiano ha sospeso l’attività del consolato a Bengasi in risposta alla situazione in Cirenaica, la regione orientale della Libia. I dipendenti della sede diplomatica stanno facendo ritorno in Italia in queste ore. La scelta è arrivata tre giorni dopo che l’auto blindata di Guido de Sanctis, console generale italiano, è stata colpita da un attentato terroristico. De Sanctis è rimasto illeso, ma il governo italiano ha ritenuto che la sua posizione non fosse più sicura. Ilsussidiario.net ha intervistato Amedeo Ricucci, inviato della Rai per la quale ha seguito le guerre in Libia, Siria e Palestina e la rivolta in Tunisia.
Davvero la situazione in Libia è così grave da rendere necessaria la sospensione delle attività del Consolato italiano a Bengasi?
Quella del governo italiano è stata una misura cautelativa che si è resa necessaria dopo il fallito attentato contro il console De Sanctis. Il fatto che ci sia stato il precedente del console americano ucciso a dicembre sempre a Bengasi è un fatto che inevitabilmente ha indotto l’Italia a non sottovalutare la situazione. E’ dunque la scelta giusta e la conferma del fatto che la Libia sta attraversando una fase di grandi turbolenze. La situazione non è affatto pacificata, ci sono lotte di potere tra vari clan in corso da quando è finita la guerra.
Che cosa sta succedendo nella Libia del dopo Gheddafi?
C’è una situazione di generale incertezza e il prevalere, soprattutto in Cirenaica, a Bengasi e a Derna, di gruppi qaedisti o comunque legati alla galassia del fondamentalismo islamico. La loro presenza è preoccupante e ci fa dire che la guerra non è stata chiusa bene. Sono stati impiegati solo sei mesi, ma come in tanti avevano previsto, non è bastato eliminare il Colonnello per riportare la pace e la democrazia in Libia. Gli episodi di Bengasi degli ultimi mesi ne sono la dimostrazione.
In che senso, secondo lei, la guerra non è stata chiusa bene?
Innanzitutto in questi giorni si è aperta la seconda guerra di Libia, perché è questo il significato dell’intervento francese nel Nord del Mali. Gli avvenimenti che hanno riguardato la fascia saheliana, composta da Mali, Niger e Mauritania, sono tutti legati alla caduta di Gheddafi.
In che modo sono legati?
Gheddafi aveva più volte ammonito i leader occidentali e i generali della Nato che una sua dipartita avrebbe consegnato tutto il Nord Africa in mano ad Al Qaeda. Esagerava ma non più di tanto, nel senso che l’intera area tra Nord-Africa e Sahel, in questi giorni sotto i riflettori francesi, viveva una pace assicurata solo dai soldi e dalle armi di Gheddafi. Era il Colonnello che negli ultimi anni aveva indossato le vesti di “re d’Africa”, lavorando alla creazione di una sorta di “Stati Uniti d’Africa” e muovendo le fila dei gruppuscoli tra Mauritania e Ciad.
Che cosa è accaduto dopo che il Colonnello è stato giustiziato a sangue freddo?
Con la caduta di Gheddafi, 16mila missili SAM terra-aria e altre armi pesanti trafugate dai depositi libici hanno preso la strada del Sahel. Tutti i tuareg che lavoravano al servizio di Gheddafi, quelli che durante la guerra erano chiamati i “mercenari”, e che in realtà erano al soldo del Colonnello già da anni, sono rientrati in Mali, hanno spodestato il governo democratico e creato quella situazione di instabilità che ha costretto la Francia a intervenire.
Perché i gruppi armati si concentrano proprio a Bengasi, la culla della rivoluzione?
Personalmente non ho mai creduto che in Libia ci sia stata una “rivoluzione”. Quanto è avvenuto è stato un sollevamento popolare nella Cirenaica, sulla spinta di un tentato colpo di Stato interno fomentato da Francia e Gran Bretagna. I fatti libici sono stati molto diversi da quelli cui abbiamo assistito sia in Tunisia ed Egitto, sia in Siria, Yemen e Bahrein. La Cirenaica ha dato avvio a questa rivolta per motivi storici, ma soprattutto per il fatto di essere stata il “bacino di cultura” del Libyan Islamic Fighting Group (Lifg).
Qual è stato il ruolo di questo gruppo negli avvenimenti libici?
Si tratta di jihadisti che negli anni ’80 hanno tentato di opporsi con le armi a Gheddafi, sono riusciti a costituire una forza d’urto di 400/500 unità, avevano il loro feudo in Derna che è una cittadina a est di Bengasi. Il Lifg è stato sconfitto e passato a fil di spada da Gheddafi. Quanti non sono stati uccisi sono stati incarcerati nelle galere di Abu Salim a Tripoli, dove sono rimasti per anni e anni. Nel corso della rivolta di Abu-Salim del 1996 il regime ne ha uccisi 2mila. Quindi nel dicembre 2010 ha liberato quasi tutti coloro che erano sopravvissuti, guarda caso qualche mese prima che scoppiasse la rivolta a Bengasi. Sono stati questi combattenti, da poco liberati, a costituire l’ossatura della rivolta contro il Colonnello.
(Pietro Vernizzi)