La vittoria pronosticata nei giorni scorsi c’è stata ma non è stato il trionfo annunciato dai sondaggi. Benyamin Netanyahu vince ma il nuovo parlamento israeliano (Knesset), almeno secondo i primi exit-poll, appare spaccato, con un risicato vantaggio del fronte delle destre (62 seggi sul totale di 120). La vera sorpresa di questa tornata elettorale, colui che possiamo indicare come il vincitore morale è senza dubbio il nuovo partito centrista laico di “Yesh Atid” del giornalista tv Yair Lapid, che ha festeggiato a tarda sera a Tel Aviv con i suoi sostenitori inneggiando alla “speranza di un cambiamento”.
La coalizione conservatrice di destra, formata da Benjamin Netanyahu e dal suo ex ministro degli Esteri Avigdor Lieberman non ottiene, dunque, la maggioranza, e anzi la loro lista Likud-Beitenu conquista 31 seggi: meno di quanto i sondaggi indicassero (perde 11 seggi rispetto alle scorse elezioni) e molti meno dei 40 della somma complessiva di deputati allineati dai due partner nel parlamento uscente. Subito dopo con 19 seggi si piazzano i centristi di Lapid, a seguire con 17 seggi troviamo i Laburisti di Shelly Yachimovich. Rimane fermo a quota 12 il nazionalista religioso ultrà Naftali Bennett, di “Bayit HaYeudi”. 12 seggi anceh per gli ortodossi sefarditi dello Shas.
Anche se sulla carta la destra avrebbe ottenuto circa 62 seggi contro i 58 accreditati al centrosinistra (liste arabe comprese), Netanyahu, con i suoi 31 seggi conquistati, sa bene di dover trovare nuove alleanze per formare il nuovo governo e strizza l’occhio a Lapid, che però ha già fatto sapere che sarebbe disposto a rientrare in un esecutivo solo se questo si impegnerà ad apportare cambiamenti economici e a riprendere seriamente i colloqui di pace con i palestinesi.
Il premier uscente ha comunque festeggiato la vittoria che lo potrebbe riportare per la terza volta a capo del Knesset israeliano, certo, con un margine di manovra estremamente limitato. È per questo che Netanyahu non ha perso tempo e si è già mosso tra i suoi, proponendo i punti promaggramatici su cui costruire le larghe intese. Una delle priorità resta lo sforzo di impedire all’Iran di dotarsi di armi nucleari, poi un’attenzione particolare alla moderazione politica, la responsabilità economica all’equità fra religiosi e laici, e non utimo l’emergenza casa sul fronte sociale.



Appare comunque evidente, che se i dati fossero confermati, inizia una nuova stagione politica fatta di trattative e compromessi, che non è proprio ciò che si aspettava Netanyahu alla vigilia del voto: per tutta la campagna elettorale aveva chiesto di ottenere una premiership forte capace di affrontare le numerose sfide che attendono Israele: dal dossier Iran, al riavvio delle trattative di pace, allo spinoso rapporto con gli Usa di Barack Obama e con la diplomazia europea sulla politica edilizia di espansione delle colonie nei Territori, seguita dal premier dopo l’accredito della Palestina all’Onu come Stato non membro. Stando così le cose, a giocare un ruolo di grande rilievo c’è la new entry Lapid, che dopo aver ottenuto un importante consenso ora potrebbe avanzare qualche pretesa e indicare alcune condizioni (come del resto ha già annunciato) prima di entrare in coalizione.
Un segnale comunque positivo arriva dall’affluenza alle urne: 66,6 per cento è la percentuale definitiva di voto nelle legislative israeliane. Una percentuale maggiore rispetto alle precedenti elezioni: nel 2009 era stata del 65,2 per cento, mentre nel 2006 del 63,2.

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