Se ne andranno gli inglesi dall’Unione europea? L’attuale primo ministro inglese, il conservatore David Cameron, propone un referendum da tenersi dopo le prossime elezioni politiche (che cadranno nel 2015) per chiedere agli inglesi se vogliono restare o no nell’Unione. Immediate le reazioni di gran parte dei paesi europei, Germania in primis, che dicono di non poter immaginare una Europa senza gli inglesi. Per capire cosa ci sia dietro le parole di Cameron, ilsussidiario.net ha contattato il professor Emilio Colombo, docente di Economia internazionale: «Naturalmente la tendenza a essere euroscettici è sempre stata una caratteristica tutta inglese per tanti motivi storici. Sta di fatto che non è vero che Cameron abbia sollevato la questione del referendum per puri motivi di propaganda elettorale interna, come ha detto qualcuno, ma per motivi genuini che aprono un dibattito che probabilmente è giusto che si apra».
Non è una novità che gli inglesi innalzino la loro bandiera isolazionista, ma è una bandiera puramente conservatrice o attraversa in modo trasversale gli schieramenti politici?
Gli inglesi storicamente sono sempre stati un po’ euroscettici con forme diverse tra i vari schieramenti politici. Si trovano soprattutto tra i conservatori, ma ci sono anche tra i laburisti. In generale è proprio l’opinione pubblica, al di là dei partiti stessi, a non essere molto entusiasta dell’Unione europea. Storicamente è sempre stato così.
Il famoso snobismo inglese, il vecchio Impero che dominava il mondo?
No, è proprio una questione storica. Tutti sappiamo dei tanti contrasti nel passato tra Francia e Inghilterra, ad esempio. Tanto che l’accesso del Regno Unito all’Unione è avvenuto in ritardo rispetto ad altri paesi ed è stato fondamentalmente a causa del no francese: De Gaulle ha posto ben tre volte il veto alla sua entrata.
E poi gli inglesi non hanno mai accettato di rinunciare alla sterlina.
Esatto, c’è anche un aspetto culturale sociale e storico che vede il Regno Unito da sempre non pienamente entusiasta delle iniziative a livello comunitario. E c’è naturalmente un elemento maggiormente economico.
Ci spieghi.
Il Regno Unito ha obiettivamente un sistema economico molto diverso da quello dell’Europa continentale, soprattuto negli ultimi venti-trenta anni da quando la Thatcher ha fatto la rivoluzione liberale: pensiamo soltanto ai sindacati. I rapporti tra sindacati e imprenditori in Europa si giocano a livello centrale e nazionale o regionale. Nel Regno Unito invece si basano sul rapporto diretto con l’imprenditore, sulla negoziazione individuale e comunque il ruolo del sindacato è molto più limitato. Poi c’è un altro elemento importante.
Ci dica.
Il ciclo economico inglese è molto più sincrono con quello degli Stati Uniti di quanto non lo sia con il ciclo economico dell’Europa. Se ci pensiamo la crisi finanziaria si è propagata dagli Stati Uniti al Regno Unito e poi nel resto dell’Europa. Questo fa sì che l’economia britannica sia diversa da quella degli altri paesi con una difficoltà dunque elevata ad adottare soluzioni comuni.
Sembra ci siano abbastanza differenze in effetti.
Ma c’è un terzo elemento ed è che gli inglesi hanno un approccio molto pragmatico nella gestione politica e amministrativa. La riprova di questo ce l’ha dà il governo attuale. I conservatori si sono trovati dopo tre lustri la possibilità di governare, ma non avevano la maggioranza e hanno adottato quale maggioranza l’alleanza con i lib-dem, che sono molto più a sinistra dei laburisti stessi. Dunque una alleanza sulla carta impossibile.
Invece?
E’ stata superata, questa divergenza di fondo, in modo molto pragmatico. Si sono chiusi in una casa per tre giorni e hanno elaborato un programma comune. Tanto che la scorsa estate quando questo programma si era esaurito c’era stato il rischio di una crisi di governo. Invece hanno elaborato nuovi punti programmatici per andare avanti.
Davvero pragmatici…
E’ un approccio che va in conflitto con il modo bizantino che abbiamo in Europa di fare decisioni: per fare una riforma ci vuole consenso di tutti dalla Germania fino a Malta. E’ molto difficile per loro da capire questo modo di procedere.
Cameron ha anche parlato di divario fra cittadini e Unione, un problema di ordine democratico lo ha definito. E’ così?
Certo, e questo è il problema dell’Europa. La soluzione che abbiamo posto alla crisi economica è sostanzialmente quella di una maggiore coesione dei paesi europei tanto che ci siamo impegnati con il Fiscal compact. Il quale non è altro che un passo avanti verso una piena integrazione fiscale. Se noi dovessimo arrivare a questo la condizione sine qua non per avere una unione fiscale è che ci sia un forte supporto sociale all’Europa. Cioè se la linea fiscale o la spesa sanitaria si decide a Bruxelles è necessario che ci sia un consenso sociale dei popoli europei, ma questo non c’è. Lo vediamo alle elezioni europee, non c’è un singolo Paese europeo dove il dibattito non sia un dibattito nazionale invece che europeo e questo la dice lunga di un forte scollamento tra i cittadini e la colpa probabilmente è l’incapacità dei politici di far passare il messaggio europeistico.
Tornando al Regno Unito, quanto conta oggi in Europa?
A livello economico ha un peso meno rilevante di altri paesi più integrati dal punto di vista commerciale. Il Regno Unito è quello meno integrato. Noi italiani peraltro siamo il secondo meno integrato, con una quota di esportazione in Europa del 58% contro il 57% degli inglesi. Tutti gli altri paesi sono sopra al 60%. Naturalmente quando si parla di Regno Unito si parla anche di peso politico.
E questo com’è?
Non sono mai stati una forza trainante. Se noi pensiamo alle iniziative che hanno visto cambiare gli assetti in Europa ultimamente, sono tutte iniziative francesi o tedesche e in qualche caso anche italiane. Il Regno Unito è sempre stato un po’ ai margini dopo di che cosa succederà se dovessero uscire non lo sappiamo oggi. E’ qualcosa che non era previsto all’inizio e quindi bisognerà rifletterci sopra.
Sembra di capire che Cameron non abbia tutti i torti a criticare l’Europa. E’ così?
Da un certo punto di vista forse è positivo che si dica realmente cosa vogliamo, come lo vogliamo e quali siano i confini dell’Europa in termini politici e anche economici. In pratica: chi non ci vuole stare non ci stia. Quelle di Cameron non sono preoccupazioni elettorali interne, ma sollevano un problema di diversità di modo di pensare. Cameron, ad esempio, sta facendo una grossa battaglia sul budget europeo perché vuole che si tagli di più e questo sottolinea la differenza. Nel Regno Unito lo Stato ha un peso molto meno rilevante rispetto agli altri paesi europei, è uno Stato più snello. La loro idea è: guardate che l’Europa spende troppo. E’ una diversità di prospettiva pensano davvero in modo diverso da un francese che dirà che lo Stato è importante ed è giusto che pesi tanto.