I risultati delle elezioni in Israele hanno portato al pareggio tra il blocco di centrodestra, compresi i partiti religiosi, e il cosiddetto blocco di centrosinistra, formato in realtà da una galassia di partiti di centro, di sinistra e della minoranza araba. Benjamin Netanyahu appare come un leader politicamente “azzoppato”, per riprendere un’espressione, tipica della terminologia politica americana. Ancora in sella, ma con alle spalle una folla di sostenitori di molto diradata. Davanti a lui Yair Lapid, il vincitore morale delle elezioni 2013. Lapid l’uomo di “centro”, colui che ha fondato il suo partito appena un anno fa.



L’ascesa di Lapid si contrappone, anche, al tracollo del grande partito di centro Kadima, fondato solo pochi anni  fa dall’ex generale e poi primo ministro Sharon. Kadima combatte in queste ore tra la sua completa estinzione e la possibilità di mantenere due seggi in Parlamento, quando i risultati elettorali saranno definitivi.



Il caso di Lapid come quello di Mofaz, l’attuale leader di Kadima, mostrano un problema centrale della politica israeliana, che queste elezioni hanno, ancora una volta, evidenziato: l’assenza di un partito di centro, che  abbia una strategia, una cultura politica e una classe dirigente convincente per l’opinione pubblica. 

La  rottura del bipolarismo, che aveva segnato decenni della vita politica israeliana, si era compiuta all’inizio degli anni duemila. Il primo ministro in carica Sharon aveva fondato il suo partito, Kadima, che tradotto in italiano vuol dire “avanti”. Aveva rotto con il Likud, il partito della destra conservatrice, uno dei poli dello storico bipolarismo israeliano. A Sharon aveva dato una mano l’attuale capo dello stato Peres, che aveva abbandonato il partito laburista (l’altro polo del bipolarismo) per aderire al progetto politico di Sharon. Fattore scatenante di quelle scelte fu il dibattito sul ritiro o meno dei coloni ebrei da Gaza. Sharon e Peres si trovarono uniti sulla necessità di portare avanti quel ritiro. Da ex generale Sharon sosteneva l’impossibilità di difendere 8mila coloni ebrei sparsi tra un milione e mezzo di palestinesi. Sosteneva anche l’opportunità di conservare e stabilizzare la presenza ebraica in Cisgiordania, inglobando inoltre in Israele l’intera Gerusalemme. Tesi condivise da Peres, che le considerava una base per raggiungere un’intesa con i palestinesi, ovviamente su condizioni vantaggiose per Israele. 



Toccherà poi ad Olmert portare avanti il progetto politico di Kadima, quando Sharon venne fermato da un ictus che  ancora oggi lo inchioda, in uno stato di incoscienza, in un letto.

L’opinione pubblica israeliana per alcuni anni ha sostenuto il progetto di Kadima, mostrando tutta la sua insoddisfazione verso la dirigenza dei partiti “tradizionali”. La crisi del partito laburista segna infatti tutto il primo decennio degli anni duemila. 

Tuttavia anche il grande centro, anche Kadima, in pochi anni si autodistrugge. Doveva fare da contraltare alla destra ed invece, soprattutto negli ultimi anni della gestione Olmert, diventa succube dalla potente lobby politica dei coloni in Cisgiordania. Doveva raggiungere un’intesa con i palestinesi ed invece cancella le elezioni politiche palestinesi, dà ovunque la caccia ad Hamas, si rende protagonista dell’Operazione Piombo Fuso. Usa una  strategia della “forza” che  però non riesce a produrre stabilità e sicurezza. Infine, gli scandali clientelari: ne viene travolto Olmert e Kadima punito elettoralmente. 

Dal 2009 la disintegrazione del partito avanza intorno al tema: partecipare o meno al governo di unità nazionale, ciclicamente riproposto dal premier Netanyahu. Alla fine, prevarrà la linea dell’intesa sostenuta da Mofaz. Il partito si spaccherà, nel momento dell’ingresso al governo. Le ultime elezioni segneranno la definiva punizione per Kadima. Certo non mitigata dai sei seggi conquistati dal partito personale della Livni, per qualche tempo leader di Kadima. 

L’opinione pubblica israeliana, però, ancora una volta ha mostrato la sua ricerca di novità e di strategie diverse. In questa occasione ha premiato Yair Lapid, e la sua campagna elettorale impostata contro quella che lui ha definito la politica della paura e dell’odio. Eppure, il paradosso di queste ore mostra il campione del nuovo centro politico israeliano corteggiato da Netanyahu, maestro nel cooptare nei suoi governi anche gli oppositori. Le  trattative che si sono già aperte mostreranno quale governo avrà Israele e su quale programma. 

Netanyahu parla ora di problemi sociali da affrontare; di pari doveri per tutti, laici ed ortodossi; di un sistema presidenziale all’americana da portare in Israele. Il governo di coalizione però, Netanyahu lo ha già detto, dovrà fermare, anche a costo di un attacco militare, l’Iran ed il suo programma nucleare. Non è chiaro se con il consenso, o meno, di Barack Obama.