Ancora 15 giorni alle elezioni politiche in Israele. Il premier uscente, Benjamin Netanyahu, è dato nettamente per favorito dai sondaggi. Il sistema elettorale proporzionale su cui si basa il voto nello Stato ebraico fa però sì che la sua coalizione di governo sia ancora tutta da decidere. Se dovessero trionfare le destre, come emerge dagli ultimi dati, la politica israeliana nei confronti di Iran e Autorità Palestinese potrebbe subire un cambiamento. Nel frattempo nella vicina Siria il bilancio delle vittime, secondo i calcoli dell’Onu, avrebbe raggiunto le 60mila unità dall’inizio del conflitto. Ilsussidiario.net ha intervistato Michael Herzog, israeliano, international fellow del Washington Institute for Near East Policy, oltre che autore di commenti per il quotidiano Haaretz.
Che cosa cambierà per il Medio Oriente dopo le elezioni israeliane del 22 gennaio?
Come tutte le elezioni, sono molto importanti per il futuro di Israele e dell’intera regione, ma la risposta alla sua domanda dipende da quali saranno i risultati esatti. In Israele si dà ormai per scontato che il primo ministro Netanyahu formerà il prossimo governo e continuerà a essere a capo del Consiglio dei ministri. Quello che conta in realtà è quale sarà l’esatta composizione della maggioranza. Ne faranno parte soltanto i partiti di destra, o anche quelli di centro e di centrosinistra, i quali bilancerebbero la composizione e le politiche del prossimo governo? A due settimane dal voto è ancora impossibile prevederlo nel dettaglio.
Che cosa ci dobbiamo aspettare da Israele per il 2013?
Il 2013 sarà un anno pieno di sfide per Israele e per l’intero Medio Oriente. Molte importanti domande possono arrivare a un punto decisivo, come quelle che riguardano l’Iran. Il nuovo governo israeliano avrà quindi una funzione chiave, ma nello stesso tempo non dobbiamo esagerare l’influenza israeliana nei confronti di tutto ciò che sta avvenendo intorno a noi. La Primavera araba per esempio non ha nulla a che fare con Israele, nasce da motivazioni interne ai singoli Stati e lo Stato ebraico non ha una grande influenza nei confronti del corso degli eventi.
Che cosa ne pensa della proposta di risolvere il confitto israeliano-palestinese affidando la Cisgiordania al controllo della Giordania, e la Striscia di Gaza a quello dell’Egitto?
Non credo che sia una soluzione realistica, perché non tiene conto delle aspirazioni all’indipendenza da parte della Palestina e del fatto che Egitto e Giordania non possono né vogliono portare il peso del nazionalismo palestinese sulle loro spalle. Giordania ed Egitto possono giocare un ruolo in un modo diverso, per esempio contribuendo a garantire la sicurezza in Cisgiordania e Striscia di Gaza e a tenere tranquilli i confini. La soluzione deve essere quindi trovata da parte di israeliani e palestinesi, anche se forze aggiuntive possono giocare un ruolo contribuendo a fare sì che la soluzione trovata sia perseguita fino in fondo.
Per Essam El-Erian, uno degli esponenti più in vista dei Fratelli musulmani egiziani, Israele scomparirà entro dieci anni. Che cosa ne pensa delle sue dichiarazioni?
Ritengo che la sua dichiarazione esprima in modo chiaro l’ideologia anti-israeliana e anti-semita dei Fratelli musulmani. Il governo egiziano, e lo stesso presidente Mohamed Morsi, non fanno queste dichiarazioni oggi mentre si trovano al potere, ma ritengo che le parole di El-Erian esprimano la loro ideologia ridotta ai minimi termini. Rinunciano a esprimerla per motivi politici, i vertici del Cairo sono molto prudenti affermando che continueranno a sostenere gli accordi di pace tra Israele ed Egitto.
Quindi l’atteggiamento dei Fratelli musulmani è segnato dall’ambiguità?
Di recente hanno giocato un ruolo costruttivo nel consentire il cessate il fuoco tra Israele ed Hamas a Gaza, e tuttora hanno interesse a stabilizzare la situazione e calmare i confini. Le parole di El-Erian ci ricordano però l’ideologia da cui provengono queste persone. Sono consapevole del fatto che è impossibile cambiarne l’ideologia, ma è possibile riuscire a condizionarne il comportamento e le politiche, facendo capire loro che la comunità internazionale si aspetta che rispettino alcune linee guida.
Passiamo alla Siria. Assad riuscirà a sopravvivere al 2013?
Bashar Assad è vicino alla fine ed è probabile che non riuscirà a durare per l’intero 2013. Non so se fuggirà o resterà ucciso, ma nell’arco di alcuni mesi abbandonerà la scena. Tuttavia è probabile che la guerra in Siria continui anche dopo la sua caduta, e che ci sarà una fondamentale instabilità per lungo tempo, con lo Stato che si frammenterà. Ciò che sta avvenendo in Siria è sempre più una guerra civile, che va oltre il fatto che Assad continui o meno a governare. Trascende la personalità di Assad e segue soprattutto linee settarie, etniche e religiose.
Quindi che cosa accadrà?
E’ probabile che dopo la fine di Assad la guerra continuerà. La posta in gioco sono i rapporti tra la minoranza alawita e la maggioranza sunnita, nonché tra queste due e le altre minoranze come i cristiani. Se per esempio dopo la caduta di Assad gli alawiti decidessero di rifugiarsi sulle montagne per proteggersi, creando una regione semi-autonoma, è probabile che i ribelli daranno loro la caccia. Ritengo quindi che guerra e instabilità continueranno oltre il 2013 e proseguiranno anche dopo la caduta di Assad.
Quali sarebbero le conseguenze per l’intero Medio Oriente di una frammentazione della Siria?
Da alcune parti si è ipotizzata una suddivisione della Siria in più entità politicamente indipendenti. Ritengo però più probabile che l’intelaiatura dello Stato siriano sarà mantenuta, ma che al suo interno si formerà una realtà frammentata e composita, con un’instabilità prolungata. Occorreranno anni per stabilizzare la Siria e ricostruire un governo centralizzato, in grado di controllare l’intero territorio nazionale. La Siria non sarà quindi in grado di giocare un ruolo regionale di primo piano, almeno per un certo periodo. Ciò metterà fine all’asse radicale tra Iran, Siria ed Hezbollah, e anche se Teheran continuerà a giocare un certo ruolo in Siria non potrà più contare su un alleato fedele come Assad. Ciò sarà quindi un grave colpo per l’Iran a prescindere da quali saranno i risultati cui approderà la rivoluzione siriana.
(Pietro Vernizzi)