«Il dolore è la debolezza che lascia il corpo», così recita stoicamente uno degli slogan a cui il corpo degli US Marines affida il reclutamento. Forse, anche Barack Obama avrà provato dolore nella raffica di critiche che gli sono state rivolte per le recenti nomine del nuovo team che sarà chiamato a difendere la sicurezza nazionale. Le designazioni di John Brennan a direttore della Cia e di Chuck Hagel a segretario alla Difesa hanno suscitato malumori, dubbi e polemiche non solo nel partito democratico, ma anche in quello repubblicano. Al di là del clamore mediatico prodotto dai detrattori, un clamore che riempie le pagine dei giornali in questi giorni, sono scelte solo apparentemente controverse o addirittura maldestre. Con le mani ormai libere dal problema della rielezione, il Presidente sembra aver prediletto Brennan e Hagel per due ragioni fondamentali.
Da una parte, Obama riafferma di nuovo in maniera evidente il proprio convinto sostegno alla strategia dei droni nella guerra al terrorismo (che verrà probabilmente affidata all’Intelligence). L’attuale consigliere per la sicurezza nazionale e l’antiterrorismo è l’uomo dei droni, colui che compila la kill list del Presidente. Non per caso, infatti, le principali critiche sono giunte dalla componente liberal dello spettro politico democratico, fortemente critica verso un personaggio ritenuto troppo vicino all’amministrazione Bush. Quello di Brennan a Langley non sarebbe un esordio, ma un ritorno. A differenza del suo sfortunato predecessore, il generale David H. Petraeus, Brennan si è formato nella Cia, dove fece carriera ai tempi di Bill Clinton e George W. Bush. Seppur quantomeno ambigua sotto il profilo morale (la guerra dei droni infatti è una sorta di applicazione alla realtà delle procedure di Minority Report), l’opaca figura di Brennan costituisce certamente un ottimo profilo professionale per la conduzione dei servizi segreti americani.
Dall’altra parte, il Presidente sostiene la necessità economica di rivedere l’onnivoro budget del Pentagono e la volontà politica di rinsaldare il rapporto – troppo spesso sottoposto a stiramenti e tensioni – tra la classe di governo e le élites militari. In questa prospettiva, la nomina di Hagel sembra offrire elevate garanzie professionali.
Eroe del Vietnam ed esponente della scuola realista, l’ex senatore repubblicano è un corpo estraneo dello staff di Obama, anche se si è mostrato più vicino alla sensibilità del Presidente di molti altri suoi collaboratori. Questa volta gli attacchi alla scelta sono arrivati dai repubblicani, in particolare dai circoli intellettuali neoconservatori. Critico verso la guerra in Iraq, ostile a quella che lui stesso ha definito la «lobby ebraica» al Congresso e ritenuto troppo morbido verso l’Iran, Hagel è considerato troppo poco filo-israeliano sulle questioni mediorientali.
Tuttavia, risulta (forse) fuorviante – come hanno fatto i suoi detrattori – sottolineare aspetti che riguarderanno prerogative e competenze del Segretario di Stato. Mettendo a capo del Pentagono un ex militare, Obama dimostra invece una sensibilità particolare –presumibilmente, soltanto opportunistica – per il mondo delle forze armate. Nel guidare l’alleggerimento delle spese per la difesa, Hagel potrà certamente dialogare con gli ufficiali dell’esercito da una posizione di indubbia autorità. Avendo esperienza della guerra, egli infatti è consapevole dell’ostilità ai conflitti di coloro che sono chiamati a combatterli.
Forse, il «dolore» per le critiche ricevute era già stato preventivato da Obama. Molto probabilmente, sarà in fretta dimenticato. Il calcolo pragmatico sembra infatti aver preceduto ogni considerazione etica. Nell’operazione di riequilibrio delle correnti all’interno del potere statunitense, l’uomo seduto nello Studio Ovale – che, soprattutto riguardo alla sua posizione sull’utilizzo dei droni, è stato molto probabilmente insignito del Premio Nobel per la Pace con eccessiva celerità e fiducia – avrà realizzato che un tale dolore non era altro che debolezza che abbandonava il corpo della sua Amministrazione.