La dissidenza tibetana non si ferma e le notizie sulla repressione da parte del governo centrale circolano sebbene la censura cerchi costantemente di mettere un bavaglio ai media locali. Nel distretto di Nagchu, regione autonoma del Tibet, le autorità cinesi hanno aperto il fuoco su una folla di cittadini locali che manifestava pacificamente contro l’arresto di un uomo, è successo domenica scorsa ma la notizia è stata diffusa dalle organizzazioni non governative solo in questi ultimi giorni. C’è gran fermento nell’intera regione di Driru, dove la popolazione è protagonista di scontri con la polizia. La fonte principale del tragico avvenimento è Radio Free Asia, secondo la quale sarebbero state ferite una sessantina di persone, due delle quali in gravi condizioni. La maggior parte dei manifestanti sarebbero stati colpiti alle braccia e alle ginocchia e molti di loro sarebbero caduti al suolo per effetto dei gas lacrimogeni usati per sedare le proteste. Il dissenso della zona di Nagchu è iniziato lo scorso settembre in occasione della festa nazionale cinese, quando le autorità del governo centrale avevano costretto la popolazione locale a issare le bandiere nazionali in segno di sottomissione; molti di loro però hanno reagito prima gettandole nel fiume e poi organizzando vere e proprie sommosse. Uno dei principali esponenti del movimento è Dorje Draktsel, il quale è stato arrestato in seguito a una dimostrazione di fronte agli uffici simbolo della burocrazia cinese della zona. In quest’ultimo periodo l’area è sotto assedio: più di 18.000 agenti presidiano la zona suddivisi in posti di blocco negando ai civili che vengono da fuori di entrare nella zona. L’intento è di limitare la fuga di notizie verso l’esterno; perquisizioni nelle case per sequestrare cellulari e macchine fotografiche, sono state interrotte le linee telefoniche e la rete Internet. In questo modo continua la dura repressione nei confronti di un popolo che insiste per vedersi riconosciuta un’autonomia effettiva data dall’unicità dell’identità culturale, linguistica e religiosa. Dal 2011 ad oggi sono 121 le persone che si sono date fuoco per rivendicare la libertà del Tibet e il ritorno della suprema guida spirituale Dalai Lama esiliato in India.