Per la seconda volte nell’ultimo mese, la Commissione europea ha aperto una procedura di infrazione contro l’Italia. Il motivo? Non aver rispettato il diritto delle vittime di reati (non solo quelli “intenzionali violenti”) di essere indennizzate in modo equo e adeguato, come prevede la direttiva 2004/80/Ce.
La Corte di Cassazione non avrebbe dunque applicato il diritto europeo. La nostra amministrazione della giustizia e l’attività dei magistrati tornano così nel mirino dopo che lo scorso 25 settembre l’Europa aveva chiesto la verifica delle norme procedurali italiane.
Il caso giudiziario sotto inchiesta si trascina da 31 anni: risale al 1982 e vede un imprenditore chiedere in giudizio il rimborso di una tassa – ritenuta essere un dazio illegittimo – legata a ispezioni veterinarie obbligatorie per prodotti importati in Italia. Per ben due volte la Cassazione ha respinto la sua richiesta di rinviare il caso alla Corte di giustizia dell’Unione europea, violando così il Trattato europeo. L’articolo 267 obbliga infatti la Cassazione a rimettere gli atti alla Corte di giustizia dell’Unione europea per ottenere l’interpretazione di una norma di diritto europeo, laddove una parte ne faccia richiesta. Non si tratta quindi di un’opzione facoltativa, bensì di un chiaro obbligo giuridico.
La violazione oramai non può essere più sanata, dal momento che le richieste di rinvio sono state respinte e le decisioni della Corte non possono essere soggette ad alcuna modifica.
Nella nota arrivata direttamente da Bruxelles si legge che “l’Italia non dispone di alcun sistema generale di indennizzo per tali reati: la sua legislazione prevede soltanto l’indennizzo delle vittime di alcuni reati intenzionali violenti, quali il terrorismo o la criminalità organizzata, ma non di altri”. E prosegue: “Alcune vittime di reati intenzionali potrebbero non avere accesso all’indennizzo cui avrebbero diritto”. In conclusione, la Commissione ammonisce che “se l’Italia non ottempererà ai suoi obblighi giuridici entro due mesi, potrà decidere di deferirla alla Corte di giustizia Ue”.