Nadia Akhiyalova era originaria del Daghestan, una regione nel nord del Caucaso dove sono attivi i separatisti islamici. Nadia aveva 30 anni, ortodossa, moglie di uno dei capi della guerriglia caucasica. Sono bastati appena 40 giorni per la sua conversione all’islam. Di lì, a farsi saltare in aria con 12 chili di esplosivo addosso, il passo è stato breve. È l’aberrante cronaca di un terrorismo al femminile in continua ascesa.
In realtà, il network terroristico che fa capo al comandante Amrof, leader dei combattenti ceceni, attacca la Russia per colpire la Siria, con l’obiettivo di attrarre nuovi combattenti, consolidare il movimento integralista islamico sul territorio e “stabilire l’autorità di Allah su tutta la Terra”.
Calato il velo sulla Siria, la violenza del fondamentalismo si riversa con rabbia in quella parte di Russia dove l’integralismo ceceno, georgiano e delle aree circostanti ha attecchito maggiormente.
Quando, nel gennaio 2011, la stampa internazionale dava il benvenuto alla Primavera araba, che di lì a poco avrebbe portato alla cacciata di Ben Ali, poche persone, dopo l’entusiasmo iniziale, hanno avuto la lucidità e l’onestà di dichiarare che il movimento iniziato a Tunisi sarebbe stato scippato dagli estremisti islamici, in modo particolare dai Fratelli musulmani. Oggi, più di due anni dopo, siamo tra i pochi a poter dire che quanto sta accadendo, primo fra tutti lo smascheramento dei Fratelli musulmani, l’avevamo già previsto.
Damasco ha sempre dimostrato di impedire una certa penetrazione del pensiero religioso sunnita. Non gradiva quindi le fazioni salafite e, ancora più in generale, tutti i fautori di un certo estremismo islamico. In questo contesto di scontro, diverse voci a carattere religioso, tra cui anche gli islamisti, iniziarono a levarsi. Avevano capito che era arrivato il momento di uscire allo scoperto, smarcandosi da un lungo isolamento politico. La Fratellanza in Siria si adoperò per cercare nuove alleanze e contatti nell’ambito delle altre formazioni politiche di opposizione.
Non è un caso che una parte dell’opposizione siriana sia stata corteggiata e appoggiata dagli estremisti, i quali hanno fatto chiaramente intendere che in gioco c’è qualcosa di molto più forte di una semplice guerra civile.
Per questo motivo, sia i membri di Al Qaeda che i sostenitori dell’estremismo islamico hanno scopi politici paralleli, che necessitano di spazi sempre più ampi per esprimersi. I primi vorrebbero la fine del regime, per poi essere in grado di ricattare con maggiore forza la comunità internazionale e, in particolare, il mondo arabo-musulmano.
I secondi sentono invece l’esigenza di rafforzarsi ulteriormente su tutta l’area, per costruire l’idea di un nuovo califfato non solo nel mondo arabo, ma, come si evince dalla forte ondata di proselitismo, anche in Europa e in tutta l’area occidentale.
Facile intuire la preoccupazione russa, seppure il paese è abituato al terrorismo islamico, nei confronti di quella cintura geografica composta per lo più da territori islamici che, in caso di conflitto, libererebbero l’estremismo di matrice radicale bloccando il passaggio al mare, strategico.
Il silenzio sulla Siria e il fallimento inaspettato dei qaedisti ceceni e mediorientali ha fatto sì che questi terroristi rafforzassero la loro avanzata verso l’occupazione del nord Asia, in modo da suscitare l’interesse dell’opinione pubblica e catalizzando quella degli altri leader politici internazionali.
Come riferito dal New York Times, non va sottovalutato neanche un certo estremismo di casa nostra dove i siriani, con cittadinanza italiana, vengono assoldati dai jihadisti, per poi rientrare indisturbati in Italia e proseguire il loro proselitismo religioso.