Il 15 e il 16 ottobre si è svolta la prima tranche di colloqui a Ginevra tra il 5+1 (i cinque membri del Consiglio di Sicurezza dell’Onu ovvero Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna, Francia, più la Germania) e l’Iran per risolvere la controversia sul programma nucleare. Rohani si è detto disponibile ad accettare i controlli esterni senza preavviso nei propri siti, ma non ha intenzione di rinunciare in toto al progetto nucleare avviato negli anni precedenti. Le decisioni finali hanno portato a un primo progetto di cooperazione che prevede due fasi: la prima è quella di riconoscere il diritto all’Iran di arricchire l’uranio per uso civile, la seconda consiste nelle garanzie che Teheran dovrà dare sul proprio programma atomico per poi ricevere un alleggerimento delle sanzioni internazionali. C’è ancora molta strada da fare affinché si possa arrivare a una piena collaborazione, ma un passo in avanti è stato fatto. In vista della nuova tornata negoziale, in programma per il 7 e l’8 novembre sempre a Ginevra, abbiamo fatto il punto con Ugo Tramballi del Sole24Ore.



Come vede lo sviluppo delle trattative?

La cautela è necessaria ma occorre anche ottimismo e coraggio. Quello che sta succedendo in Medio Oriente oggi equivale, fatte le debite proporzioni, alla caduta del muro di Berlino nel 1989 per l’Europa. Bisogna offrire una possibilità a Rohani e alla sua squadra di governo. Infatti, Khamenei difende ancora un’ottica ideologica anti-americana.



Quali sono i fattori che hanno spinto Rohani a voltare pagina?

L’Iran è l’unico paese energetico di questi ultimi 20 anni che esporta preziose risorse naturali ma non riesce ad arricchirsi. E questo pesa in termini di consenso popolare. Si è aperto così il fronte delle riforme politiche: basti pensare alla stessa elezione di Rohani che al primo turno ha schiacciato i candidati appoggiati dal vecchio regime.

C’è qualche paese realmente interessato a ostacolare i negoziati?

Arabia Saudita e Israele sicuramente non vedono di buon occhio la trattativa con l’Iran. La prima per via del secolare confronto tra sciiti e sunniti e il secondo per via dei dissidi sulla causa palestinese. Ricordiamo che i due paesi hanno sempre avuto posizioni simili per quanto riguarda le primavere arabe. Poi non bisogna sottovalutare il fatto che Netanyahu è un leader ideologico più che sionista.



Ci spieghi.

Mentre ad Ariel Sharon interessava la sicurezza di Israele, piccolo o grande che fosse, l’attuale Primo ministro ha una visione ideologica, figlia della Destra israeliana, che mira all’instaurazione di una grande nazione. Per questo modo di vedere è essenziale un antagonista: ieri erano Saddam Hussein e Arafat, oggi è l’Iran. Senza un nemico è difficile condizionare le politiche internazionali, in primis quelle degli Stati Uniti.

Sono tutti della stessa idea in Israele?

No, c’è un dibattito molto acceso a riguardo. Coloro che si sono opposti internamente all’idea del Primo ministro di invadere l’Iran in questi ultimi due anni sono stati l’apparato militare e servizi segreti israeliani.

 

Quale sarà la strategia di Israele di fronte a questo scenario?

Per la prima volta il governo ha ammesso la possibilità per l’Iran di avere un programma nucleare civile, ma al contempo è arrivato un documento ufficiale delle istituzioni israeliane che conserva a Israele l’opzione di attaccare militarmente l’Iran comunque vadano le trattative in corso. Una mossa difensiva. Poco tempo fa abbiamo assistito all’omicidio del capo della Cyberwar iraniana Mojtaba Amhadi a Teheran.

 

Chi si cela dietro quell’uccisione?

Non ci saranno mai prove, ma c’è l’ombra dei servizi israeliani. In questi anni si è cercato di combattere il programma nucleare iraniano lungo tre fronti: le sanzioni internazionali, la Cyber-guerra da parte di Stati Uniti e Israele che ha rallentato di molto il lavoro degli scienziati iraniani, e l’eliminazione fisica dei principali attori del progetto nucleare.

 

Se le trattative andranno a buon fine che ripercussioni ci saranno sull’asse dell’alleanza Hezbollah-Siria-Iran?

Sicuramente nascerebbe una reazione a catena con una serie di conseguenze geopolitiche. Per l’Iran ed Hezbollah la Siria rischia di diventare una sorta di Vietnam, un’ingente spesa economica senza arrivare a un fine. Si tenga conto che gli sciiti non sono mai stati espansivi come lo sono stati invece i sunniti, finanziati dall’Arabia Saudita.

 

Quindi?

Se l’Iran accetterà il compromesso, potrebbe esserci un allentamento dei finanziamenti alla guerra siriana.

 

(Mattia Baglioni)