“Non si può morire così; hanno investito tutto quello che avevano per fare quella fine”. È triste e anche arrabbiata Fessaha Alganesh, eritrea, presidente della Ong Gandhi. Era appena stata dal Papa e da lui aveva sentito parole di speranza. Da ieri, dopo la tragedia di Lampedusa è di nuovo nello sconforto. Da undici anni la sua organizzazione si occupa dei profughi eritrei in Etiopia e in Sudan e da sei di quelli sepolti nell’inferno delle prigioni egiziane. Nel pomeriggio di venerdì è arrivata sull’isola, ma alle 18 non era ancora riuscita ad entrare nel campo che ospita i superstiti della traversata. In effetti, alla Capitaneria di porto sono tutti molto gentili, ma per qualsiasi cosa c’è bisogno di un’autorizzazione che, quando arriva, ha impiegato un’eternità.



È riuscita ad entrare?
No, purtroppo. C’è una burocrazia pazzesca. Fate qualcosa voi della stampa. Ho detto che sono medico, che parlo la lingua di questa gente, che mi occupo di questi problemi da undici anni, ma non c’è stato niente da fare.

Cosa si aspetta di trovare?
Non la stessa tragedia che purtroppo ho già visto tante volte, ma sicuramente qualcosa di molto simile. Se le nostre informazioni sono giuste ci sono molti ragazzi scappati dal Sudan o dall’Eritrea qualche settimana fa e tra di essi ci sono molti minorenni. È un fenomeno che conosciamo.



Di cosa si tratta?
Dall’anno scorso abbiamo notato in Etiopia un flusso di migratorio di giovani che si muovono da soli. Quasi trecento al giorno. Non sappiamo perché, se sono del posto o se vengono dall’Eritrea e qualcuno li accompagna al confine.

Lì vengono lasciati soli?
Esatto. Vengono presi in custodia dalla polizia etiopica che li registra come profughi e li manda al campo, nella sezione che ospita i minori.

Che tipo di assistenza offre la sua organizzazione a queste persone?
In Etiopia abbiamo vari progetti, come “Un pasto al giorno”, per i bambini dai 3 ai 6 anni del campo profughi di Mai Haini. Si tratta di bambini picciolissimi, in età prescolare che sono scappati con i genitori o sono rimasti orfani. Diamo loro un pasto per motivarli ad andare a scuola. Per tre anni andremo avanti con gli aiuti che abbiamo ricevuto dall’arcivescovado di Trento e dall’Opera San Francesco di padre Maurizio Annoni.



Quanti bambini ci sono nel campo profughi?
I campi sono due. Siamo partiti con 300 bambini e adesso ne ospitiamo 750 in uno e altrettanti nell’altro. In tutto sono 1.500. E stiamo pensando di dar vita ad altre iniziative, come la sartoria o la scuola per parrucchiere per le ragazze. Per evitare che fuggano verso il Sudan. Poi diamo anche una mano a tutte le ragazze che siamo riusciti a far uscire dalle carceri egiziane, dove hanno subito violenze atroci. Facciamo opera di sensibilizzazione, anche in Sudan. Che però non ha funzionato.

In Egitto cosa fate?

In sei anni, con l’aiuto di molte persone, siamo riusciti a liberare circa 1.800 persone che erano rinchiuse in 15-16 prigioni, quelle legali diciamo. Perché poi ci sono i prigionieri in mano ai beduini.

Cosa riuscite a fare per loro?
Non paghiamo riscatti. Però, tramite lo sceicco Awwad Mohamed Ali Hassan, che è un salafita, anche lui beduino, siamo riusciti a liberare 480 persone.

In che modo?
Con attacchi notturni. Quattro settimane fa abbiamo liberato 20 persone. Di queste, cinque siamo riusciti a portarle di notte al Cairo. Gli altri sono rimasti sotto la protezione dello sceicco Mohamed perché nel frattempo è scoppiata la guerriglia tra i beduini e i militari e il ponte dei soccorsi è stato interrotto e non siamo riusciti a far scappare quelle persone dal posto dove erano rinchiuse. Stiamo studiando come fare. La settimana prossima andrò al Cairo per incontrare le persone che  sono state liberate e accompagnarle nei campi dell’Etiopia.

Saranno molto provate …
Moltissimo. Quelli che sono stati prigionieri dei beduini arrivano addirittura massacrati; vengono torturati in maniera atroce.

Che tipo di torture vengono loro inflitte?
Ad esempio, prendono dei sacchetti o delle bottigliette di plastica, li bruciano e li fanno colare sulla schiena, sulla testa, sulla faccia dell’ostaggio. Il tutto mentre parlano al telefono con i loro familiari che assistono in diretta ai supplizi che subiscono i loro cari. Un modo per spingerli a pagare il riscatto. Oppure legano le ragazze con le catene e le violentano anche 5-6 volte al giorno. Oppure ancora gli versano addosso dell’acqua e gli danno la scossa. Il governo italiano deve smettere di fare affari con l’Eritrea.

Perché?
In questo paese non c’è libertà di parola, di stampa, niente. Si è costretti a fare il militare da quando si hanno 16 anni fino a 45, per 25 dollari al mese; tutte le risorse del paese vengono spese per acquistare armi; non c’è lavoro, non c’è scuola, c’è la fame, cosa possono fare i giovani? Non possono fare famiglia a 50 anni, quando hanno finito il servizio militare! In più…

In più?
Le prigioni, sia quelle sotterranee che quelle nei container che si trovano in zone dove fa 70 gradi all’ombra, sono tutte piene. Li rimpatriano dall’Egitto e li mettono in prigione. Poi spariscono e non si sa che fine fanno. Il mondo si deve rendere conto che abbiamo a che fare con un pazzo, non con un capo di stato.