L’ottimismo sulla distruzione delle armi chimiche in Siria avanza nella cornice perversa di una guerra civile che non sembra darsi tregua. Il 21 settembre si è conclusa la prima fase che prevedeva la consegna dell’arsenale agli ispettori Onu e Oiac (organizzazione per l’interdizione delle armi chimiche), oggi siamo giunti al secondo step che prevede la distruzione e la disattivazione delle armi in questione. Vige ancora la più totale riservatezza per quanto riguardo i siti in cui è previsto lo smaltimento, ma i portavoce delle autorità hanno comunicato che la maggior parte dell’arsenale è inutilizzabile, o meglio: circa l’80% degli agenti chimici è costituito da serbatoi di sostanze pericolose non ancora mescolate per formare il componente base dell’arsenale, i precursori liquidi ritrovati non sarebbero quindi  armi chimiche con tutta la pericolosità che ne comporta. Lo smantellamento e la bonifica dei luoghi soggetti al controllo internazionale dovrebbe terminare nel 2014 ma forse il calcolo è più ottimistico che veritiero. “E’ un processo molto complesso, sia negli Stati Uniti che in Russia c’è stato un ritardo di 10 anni per la distruzione degli arsenali chimici e i lavori sono ancora in corso”. Per capire meglio la situazione all’indomani dell’inizio dei lavori che prevedono l’eliminazione dell’arsenale chimico, abbiamo intervistato il Professor Ferruccio Trifirò, membro scientifico dell’Organizzazione per la distruzione delle armi chimiche (OPCW ) con sede all’AIA  e professore emerito Università di Bologna 



Quali sono i metodi utilizzati per la distruzione delle armi e dei componenti chimici?

Questo non è ancora molto chiaro, i metodi sono complessi, bisogna fare attenzione a molti particolari. Potrebbe esserci bisogno di diversi trattamenti non semplici e costosi. Nonostante l’ottimismo dei media penso che sia un problema aperto.



Secondo il Washington Post i metodi più utilizzati sarebbero l’incenerimento, l’idrolisi e le scatole esplosive. Può spiegarci brevemente in cosa consistono questi metodi?

Anzitutto, bisogna capire se la Siria possiede delle attrezzature efficienti in loco poiché ribadisco, non sono trattamenti semplici.

Partiamo dagli inceneritori

In breve, sono degli impianti ad alta temperatura (1000-1200 gradi) e, se funzionano effettivamente a temperature elevate e con degli impianti di abbattimento, potrebbero anche fare al caso.

L’Idrolisi

È un trattamento chimico a bassa temperatura ed è adatto allo smaltimento dei precursori chimici. È una tecnica più facile da realizzare ma più costosa. Dato che il materiale trovato è composto maggiormente da reagenti, l’idrolisi sembra il metodo più appropriato.



Ci spieghi meglio

L’arma chimica viene realizzata facendo reagire dei precursori e se questi si trovano singolarmente è più facile trattarli in quanto sono meno pericolosi

Le scatole esplosive, infine,

Bisognerà prima estrarre i componenti chimici dalle armi e poi demolirle; si pensi ad esempio a dei missili per capire la complessità dell’operazione. 

Quale di queste tecniche ha il minor impatto ambientale?

Dipende dall’efficienza degli impianti. Difficile che abbiano degli inceneritori sofisticati: la temperatura dovrà  essere mantenuta alta  e devono avere impianti di abbattimento delle emissioni gassose .  Per l’idrolisi dipende dalle nuove sostanze tossiche rilasciate dopo lo smaltimento. Difficile a priori dire quale è il trattamento migliore.

I portavoce della comunità internazionale dichiarano che lo smaltimento finirà entro il 2014. È un calcolo verosimile?

Hanno più di un anno questo è vero, ma non è un’operazione semplice. Prendiamo ad esempio gli Stati Uniti e la Russia: entrambe hanno dichiarato che ritarderanno di 10 anni per i rispettivi progetti  di smaltimento delle armi chimiche.

Si riferiva anche al sito nucleare smantellato nel 2012 in Kazakistan i cui lavori sono durati 10 anni?Quello è solo un esempio ma ce ne sono altri su entrambi i territori. Il problema è la difficoltà che l’operazione comporta. In America gli abitanti delle città vicini ai luoghi preposti per lo smaltimento si oppongono a causa del rilascio delle sostanze inquinanti nell’atmosfera.

È anche il fattore economico a ritardare i lavori?

 

 

 

Si, questo è il motivo principale del ritardo in Russia. Lo smaltimento deve essere fatto in sicurezza e questo implica costi enormi.

Senza voler fare del complottismo, è possibile che le due nazioni siano interessate a conservare queste armi?

No, direi proprio di no. Da entrambe le parti si sta facendo molto per ovviare a questo problema, entrambe le potenze sono molto attive in questa direzione.

L’operazione di smaltimento sarà portata a termine soltanto sul territorio siriano?

 Parlano di trasferimenti ma penso che sia pericoloso portarle altrove. Poi dove le portano? Nessun paese vorrebbe accogliere tali sostanze.

La Gran Bretagna ha dichiarato che sono pronti dei fondi per questa operazione. Quale pensa che sarà il ruolo della comunità internazionale dal punto di vista economico?

Penso che la maggior parte della spesa arriverà dalla Siria, difficilmente gli altri paesi contribuiranno con finanziamenti ingenti. Il problema è interno e il governo siriano dovrà stanziare dei fondi per la distruzione di quest’arsenale.

Lo trova plausibile il compromesso raggiunto tra Siria e comunità internazionale per evitare l’intervento degli Stati Uniti e dei suoi alleati?

Sì, potrebbe essere un buon compromesso. Loro hanno accettato di distruggere le armi quando hanno firmato la convenzione. Ora sarà loro responsabilità distruggere quanto promesso e dovranno accettare il controllo internazionale.

 

(Mattia Baglioni)