Dalle colline vicine i ribelli siriani lanciano ogni giorno i mortai sulle scuole e sulle chiese del quartiere cristiano di Damasco, chiamato Kassa. Samaan Douad, un cattolico che ha studiato in Italia e che vive nella Capitale siriana insieme alla famiglia, racconta che l’altro giorno una bomba è esplosa a quattro metri da uno dei suoi figli che stava uscendo dalla lezione. Douad, in questi giorni in Italia dove ha incontrato diverse personalità politiche e culturali, alla fine di questa breve “vacanza” ritornerà in Siria. Insieme alla parlamentare cristiana Maria Saadeh sta lavorando con cristiani e musulmani per ricostruire una possibilità di dialogo nel Paese sconvolto dalla guerra e prepararsi alle elezioni presidenziali del 2014.



Qual è la situazione nel quartiere di Kassa?

Viviamo in una situazione di grande terrore legata al tiro di colpi di mortaio. Una settimana fa un ordigno ha colpito la piazza del quartiere, all’ora dell’uscita delle scuole. La bomba ha colpito a soli quattro metri dal punto in cui si trovava mio figlio. L’altro ieri una pioggia di colpi di mortaio ha raggiunto tre scuole, e mio figlio stava accanto a una di queste due scuole, quella di San Giovanni Damasceno. Tutti i bambini si sono dovuti nascondere nel seminterrato per salvarsi la vita.



In che modo i cristiani vivono questa fase del conflitto?

I cristiani stanno vivendo un momento molto difficile e in tanti stanno cercando di fuggire in Europa. C’è un piano programmatico per cacciare i cristiani dalla Siria. Hollande di recente ha parlato della sua preoccupazione verso i cristiani, ma la Francia dovrebbe impegnarsi in prima persona per calmarsi i fanatici tra le fila dei ribelli. I colpi di mortaio contro il quartiere cristiano arrivano infatti dalla zona periferica di Damasco dove sono accampati gli stessi ribelli.

Quali sono le sofferenze cui sono sottoposti i civili a Damasco?



Nella capitale non si vivono le stesse sofferenze che si registrano in altre città siriane, ma c’è comunque una situazione sempre instabile. Nel quartiere dove abitavo fino a pochi mesi fa, Jaramana, si sono verificati 18 attentati con autobombe e 2.600 colpi di mortaio. Ho visto con i miei occhi le sparatorie dei ribelli nella zona vicina all’aeroporto.

Chi c’è dietro al piano per cacciare i cristiani dalla Siria?

Ogni volta che qualcuno mi fa questa domanda, sono solito rispondere che Gesù Cristo non ci ha insegnato la Guerra Santa. Nel Cristianesimo non c’è la cultura della Jihad, e in quanto cristiani non portiamo le armi né andiamo a combattere e aiutare un cristiano che ha bisogno. Questa cultura esiste invece nella teologia e nella cultura degli islamisti che si danno da fare per difendere un altro musulmano che vive in Serbia, in Pakistan, in Afghanistan o magari in Siria. Chi paga il conto di queste guerre assurde e di questo odio verso l’altro sono quindi i cristiani. Il cristiano è un uomo che non è nato per la Guerra Santa bensì per l’amore, come ci ha insegnato Cristo.

 

Lei sta collaborando con la parlamentare cristiana Maria Saadeh. Qual è il vostro progetto?

Maria Saadeh ha formato un gruppo di giovani, cristiani e musulmani, insieme ai quali cerchiamo di fondare una cultura del dialogo e dell’amore che si contrappone a quella della violenza. Accettiamo l’altro a prescindere dalla setta dalla quale proviene o dalla religione cui appartiene. Il nostro motto è “Crediamo, vogliamo, possiamo”. Se vogliamo una cosa e crediamo in essa, riusciremo a farla. Insieme a un gruppo di giovani laici, cerchiamo di creare una base di dialogo per il futuro del Paese.

 

Maria Saadeh è con o contro Assad?

Maria Saadeh sta dalla parte della Siria, e in questo momento Assad è il presidente e rappresenta il Paese. Nel 2014 ci saranno le elezioni presidenziali e si deciderà se Assad debba continuare a restare al potere o meno. La scelta spetterà al popolo, e noi non permetteremo a nessuno di imporci un presidente che non è voluto dai cittadini. E’ ciascun siriano con il suo voto che stabilirà chi deve essere il presidente della Repubblica. Ne va della nostra indipendenza.

 

(Pietro Vernizzi)