“Dietro alla catena di assassinii politici in Iran c’è il braccio di ferro tra chi vuole aprire il Paese al resto del mondo e l’ala conservatrice di ayatollah e pasdaran. I cambiamenti in atto in Afghanistan e la penetrazione di Cina e Turchia nell’Africa Sub Sahariana, fanno sì che se non vuole diventare sempre meno competitivo sulla scala globale l’Iran si debba aprire al mondo”. Lo afferma lo scrittore e giornalista, Khaled Fouad Allam, dopo che il viceministro all’Industria di Teheran, Safdar Rahmatabadi, è stato assassinato da alcuni sicari. In precedenza erano già stati uccisi l’ufficiale dei pasdaran, Mojtaba Ahmadi, e cinque scienziati coinvolti nel piano nucleare.
Professor Fouad Allam, dietro a queste morti c’è un disegno strategico o solo il caso?
Certamente c’è un disegno strategico che punta a indebolire la struttura del governo. La contestazione all’interno dell’Iran non è affatto scomparsa, e a ciò si aggiunge il tentativo di raggiungere un accordo sul nucleare con la comunità internazionale. Un’ala politica iraniana si oppone però a questa trattativa, e ha trovato espressione nel discorso del Grande Ayatollah Khamenei che alcuni giorni fa ha ribadito la sua posizione di fronte agli Stati Uniti.
Che cosa sta accadendo in Iran?
E’ in corso un braccio di ferro tra gli oltranzisti e quanti vorrebbero aprire il Paese al resto del mondo, in quanto concepiscono l’Iran come un soggetto internazionale nella globalizzazione. La potenza americana non è più quella di una volta e ci troviamo all’interno di uno scacchiere strategico multipolare. Nella lettura degli assassini di queste figure politiche iraniane privilegerei quindi l’aspetto di contestazione interna, anche perché è troppo facile incolpare le coincidenze.
Quanto è reale l’elemento di rottura con il passato legato alla figura del nuovo presidente Hassan Rohani?
La ventata di novità portata dal presidente Rohani è reale, ma questa transizione si svolge in un contesto in cui il partito conservatore è molto forte e rappresenta un’ala importante del clero iraniano. Dall’altro lato ci sono i pasdaran, che rappresentano l’interpretazione ultraortodossa dell’Islam dal punto di vista politico e ideologico. E’ in atto quindi un corpo a corpo tra chi vuole le aperture internazionali e chi non le condivide affatto in quanto punta a tutelare le sue rendite di posizione.
I recenti assassinii politici dipendono da questo corpo a corpo?
Sì. Ciò cui stiamo assistendo, e cui assisteremo sempre di più, è a una progressiva maggiore apertura dell’Iran. La globalizzazione fa sì che la competitività economica tra i Paesi emergenti sia sempre più forte.
Quali novità ci dobbiamo attendere in Medio Oriente?
Non dimentichiamo che dal 2014 i cambiamenti strategici in Afghanistan, con il passaggio del controllo del Paese in mano agli stessi militari afghani, avranno conseguenze per l’intera regione. A ciò si aggiunge il fatto che le potenze economiche emergenti, come la Turchia e la Cina, investono sempre di più nell’Africa Sub Sahariana e nel mondo arabo. La potenza economica mondiale sta lasciando l’Europa e si sta dirigendo verso il triangolo Asia-Pacifico-Africa. Una chiusura dell’Iran a questi cambiamenti in atto lo renderebbe sempre meno competitivo.
In questi giorni la Francia ha fatto saltare il tavolo dell’accordo con l’Iran sul nucleare. Come si spiega questa mossa?
La Francia sta cercando di riconquistare un’immagine internazionale rispetto a una perdita di legittimità e a un appannarsi del suo ruolo nel mondo arabo e iraniano. Parigi mira cioè a imporre il suo gioco sullo scacchiere mediorientale. Il paradosso è che il presidente Hollande, pur essendo socialista, in questo caso ha attuato delle politiche estere neocon, come le definiva qualcuno. Talora le relazioni internazionali sfuggono a ogni tipo di logica “aristotelica”.
(Pietro Vernizzi)