L’11 novembre il governo della Repubblica Democratica del Congo e i ribelli del movimento M23 si sono riuniti a Kampala per porre fine agli scontri che da 18 mesi insanguinano la regione congolese del Kivu. Al tavolo delle trattative è mancata l’unanimità dei consensi per un accordo e così la stabilità dell’area dei Grandi Laghi resta ancora sul filo del rasoio. Una storia di rivalità tra due etnie, Tutsi e Hutu, nata sulle ceneri del colonialismo belga e culminata col genocidio in Ruanda del 1994. Durante le due guerre del Congo abbiamo assistito alla formazione di gruppi paramilitari che tutt’oggi sono sopravvissuti e continuano a minare la stabilità di un’area ricchissima dal punto vista minerario. Oro e cassiterite sono le principali risorse estratte alle quali i gruppi ribelli e l’esercito regolare hanno dato sempre più peso per finanziare la loro guerra. Le armi d’importazione russa, cadute nelle mani dei contrabbandieri dopo il crollo dell’Unione sovietica, raggiunsero il suolo africano tramite i corridoi internazionali gestiti dalle criminalità organizzate e ancora oggi continuano a dominare gli scenari di guerra in questione. L’esercito regolare congolese cerca di difendere la sovranità territoriale dello stato, mentre il Ruanda appoggia un movimento ribelle che vuole affermare la popolazione ruandofona del Kivu. “Per la prima volta l’esercito della Repubblica Democratica del Congo si presenta al tavolo delle trattative in una posizione di forza. La vittoria militare sul gruppo ribelle più potente darà un segnale forte alle altre formazioni paramilitari”, ha detto il responsabile Avsi per il Congo Gabriele Gardenal, intervistato da ilsussidiario.net.



Quanto influisce nel conflitto il controllo delle zone minerarie dalle quali si estraggono oro e cassiterite?

È importante ma non è fondamentale. Nella seconda guerra del Congo del 1998, per la prima volta i gruppi armati locali s’interessano alle miniere nella zona orientale (Bumia e Kivu). Il controllo delle aree più ricche è sempre stato visto come un mezzo, non come un fine. I gruppi ribelli e l’esercito regolare hanno dato sempre più peso al controllo di queste zone minerarie per finanziarsi.



Quando è nato l’M23?

M23 è nato l’anno scorso, nell’aprile del 2012, come movimento politico militare formato da ex soldati del CNDP (Congrès National pour la Dèfense Du Peuple, un gruppo ribelle di etnia Tutsi che si è dissolto nel 2009) con una forte componente ruandofona. Secondo quanto documentato dalle Nazioni Unite e da Human Right Watch, il Ruanda è coinvolto nel supporto a questo movimento, anche se ha smentito in più occasioni.

La milizia M23 esercita ancora un potere sul territorio? 

Attualmente, controlla una parte di territorio nel nord Kivu ma le FARDC (l’esercito regolare del Congo) hanno decisamente ridimensionato il suo potere negli ultimi mesi. Al giorno d’oggi la situazione è più tranquilla, il conflitto sembra essersi attenuato poiché la maggior parte dei miliziani sono scappati in Ruanda e in Uganda. Dopo la ritirata di Goma nel novembre del 2012, l’M23 ha cominciato a perdere il controllo del territorio e ad attaccare sporadicamente le FARDC ma senza arrivare a delle conquiste effettive.



 

Gli ultimi assalti si sono registrati in maggio e durante tutta l’estate. Quali sono state le cause dell’indebolimento di questo gruppo militare?

Prima di tutto abbiamo assistito a una scissione interna della milizia in aprile, una sorta di ammutinamento che ha lasciato isolata la corrente guidata da Bosco Ntaganda. Inoltre, dopo le sanzioni internazionali da parte di Stati Uniti Canada e Gran Bretagna, il Ruanda ha deciso di non sostenere più apertamente l’M23. Allo stesso tempo è stata istituita una Brigata internazionale da parte dell’Onu con l’intento di dare la caccia ai ribelli e sono state migliorate le condizioni delle FARDC (salari, logistica, fornitura di armi) grazie agli aiuti internazionali.

 

Come mai solo negli ultimi anni la comunità internazionale ha deciso di prendere provvedimenti concreti contro il Ruanda?

Gli Stati Uniti non hanno mai usato la mano pesante con questo paese poiché hanno sulla coscienza il mancato intervento nel genocidio del 94. Il Ruanda ha sempre approfittato di questa situazione e questo è il motivo per il quale in Congo sono ancora presenti le FDLR, il gruppo ribelle ruandese di etnia Hutu considerato il secondo più pericoloso dopo l’M23. In agosto era stata indetta una tregua in occasione dei trattati di pace di Kampala.

 

Quali sono i motivi di attrito principale tra M23 ed esercito regolare congolese che hanno rinviato le trattative?

Il motivo principale è il “No” categorico da parte del governo di Kinsasha di fronte alla richiesta dei miliziani di essere integrati nei ranghi dell’esercito regolare congolese; per i ribelli questo significherebbe mantenere una certa autonomia di potere e non essere processati dalla Corte Penale Internazionale.

 

L’M23 è solo uno dei gruppi paramilitari esistenti, altre milizie minacciano la stabilità dell’area dei Grandi Laghi. Cosa cambierà in concreto con il raggiungimento di un accordo?

Se il gruppo ribelle più forte dovesse deporre le armi, darà un chiaro segnale alle altre milizie. Inoltre, per la prima volta i ribelli non sono stati reintegrati nell’esercito, uno degli obiettivi è far giudicare i criminali dalla Corte Penale Internazionale per crimini contro l’umanità. Per la prima volta il Congo vince una guerra contro un movimento ribelle ruandofono, dal punto di vista militare è stata vinta la partita.

 

E Dal punto di vista della stabilità politica?

 Tutto dipende da come il presidente Joseph Kabila Jr. preparerà le prossime elezioni politiche. Due fattori sono molto importanti: la posizione del governo, che in questo momento è subordinato all’esercito, e il perseguimento dell’obiettivo da parte della Brigata Internazionale Onu di debellare il secondo gruppo paramilitare più forte, ossia le FDLR.

 

(Mattia Baglioni)