Cinque anni di carcere, in base all’articolo 111 del codice penale del Kuwait. E’ quanto ha subito come pena un cittadino dell’emirato che aveva espresso un commento su twitter in merito a una discussione teologica sulle differenze tra Shia (il secondo gruppo più numeroso all’interno dell’islam) e Sunni (il maggior gruppo islamico). Inoltre è stato ritenuto colpevole di aver violato la legge Naizonale del 2012 che punisce chi rende pubblici offese alla religione e usa il proprio cellulare per diffondere commenti opinabili. L’uomo, un certo signor Shamasah, era stato arrestato lo scorso mese di maggio: aveva cancellato il suo tweet dieci minuti dopo averlo postato forse rendendosi conto del rischio che correva, ma tale breve lasso di tempo non è bastato perché le autorità del paese non lo scoprissero. E’ la seconda persona in poco tempo condannata per un post sui social network in Kuwait. Lo scorso mese il blogger Hamad al-Naqi è stato condannato addirittura a dieci anni di carcere perché ritenuto colpevole di aver insultato il profeta e i regnanti dell’Arabia saudita e del Bahrain. In loro difesa Human Rights, che sottolinea come dopo la crisi politica del giugno 2012 il paese stia svolgendo una politica sempre più repressiva accusando esponenti politici, giornalisti, attivisti della Rete di insultare i sovrani arabi e la religione islamica.