NEW YORK – Con gli occhi di un bambino. Cinquant’anni fa facevo la terza elementare, in Italia, eppure ho un ricordo vivissimo dell’uccisione di Kennedy. Ho anche un ricordo vivissimo di quelle sbiadite immagini in bianco e nero che arrivavano su quell’unico canale televisivo che esisteva. Arrivavano da un mondo lontanissimo che un’improvvisa tragedia rendeva incredibilmente e dolorosamente vicino. Il mondo era certamente molto diverso, anche il mondo di noi bambini. Le cose si fissavano molto più facilmente nel cuore e nella mente, sebbene i mezzi di comunicazione fossero quel che erano.
Forse proprio per quello. Con i miei occhi da bambino mi ricordo “i negri che piangevano”. Piangevano tutti, ma a me sembrava che questi piangessero più degli altri. Di solito si vede quel che si vuole vedere, lo sguardo si attacca a quello che conoscenza e coscienza già possiedono, a quel che si sa. Anche i miei occhi di bambino piangevano perché sapevo che avevano ucciso un “uomo buono”. Qualcuno – cattivo – aveva ucciso un uomo buono. Tutti noi bambini sapevamo chi era John Kennedy, e sapevamo che “era buono” perché “era amico dei negri”, ed era nemico dei razzisti e di altri “cattivi” che si chiamavano “comunisti”. E Kennedy “andava anche a Messa”.
Oggi sappiamo che Kennedy non era “un uomo buono”. Kennedy era “un uomo”. Un uomo affascinante e convincente, giovane, forte, deciso. Anzi, “duro”, politicamente molto duro. Sappiamo che come ogni uomo ha commesso errori sia nella sua vita privata che nel suo lavoro quotidiano, la politica. Sappiamo che dal 20 gennaio 1961 al 22 novembre del ’63 ha guidato gli Stati Uniti attraverso (e verso) sfide da far rizzare i capelli: dal tentativo di rendere realtà il Civil Rights Act del ’57 alla crisi missilistica di Cuba, ad un pesante coinvolgimento in Vietnam. Sappiamo che aveva molti nemici, ma non sappiamo chi di questi si sia preso la sua vita. Sono passati cinquant’anni e quasi nessuno crede che la storia di questo assassinio cominci e finisca con Lee Oswald. Ognuno è libero di dar credito a qualcuna delle tante “conspiracy theories” che si sono andate accendendo e spegnendo nel corso degli anni.
Chissà se un giorno scopriremo la verità. Certamente però c’è una cosa che non potremo mai sapere: cosa avrebbe fatto di questa America JFK? O, per dirla con parole sue, che cosa John Fitzgerald Kennedy avrebbe potuto fare per l’America. Il senso di nostalgia e rimpianto che ancora circonda la sua figura sta tutto qui: quel che avrebbe potuto essere e non è stato.
Il ricordo del primo ed unico Presidente cattolico degli Stati Uniti, di quell’uomo bello e vigoroso con moglie e due bambini è ancora vivo nella mente e nel cuore delle generazioni adulte, ma si affievolisce nel tempo. È una legge della vita da cui niente e nessuno può scappare.
Arriva il cinquantesimo anniversario di quel giorno di sangue e lacrime a ridare fiato alla memoria di quell’uomo con moglie e due bimbi, bello e vigoroso. Ridar fiato a quel senso di gioiosa speranza nel futuro che ne aveva accompagnato l’ascesa alla Casa Bianca. Soprattutto in tempi incerti come questi.
Per un giorno l’America torna a guardare John Fitzgerald Kennedy.
Con gli occhi di un bambino.