“I colloqui di Ginevra sull’utilizzo dell’energia nucleare in Iran lasciano aperti numerosi punti interrogativi, e ciò solleva diversi motivi di preoccupazione da parte di Israele”. Ad affermarlo è Michael Herzog, analista politico israeliano e international fellow del Washington Institute for Near East, secondo cui “all’origine del problema c’è il fatto che l’elezione del presidente Rohani non ha portato a nessuna svolta politica a Teheran , e a tessere le fila è ancora l’ayatollah Khamenei che mercoledì ha definito Israele un ‘cane rabbioso’”. I negoziati di Ginevra dovrebbero concludersi oggi, venerdì 22 novembre, ma se l’accordo dovesse risultare a portata di mano potrebbero proseguire nel weekend. Il presidente americano Obama ha sottolineato che, anche se tutte le opzioni sono ancora sul tavolo, le conseguenze negative di un intervento militare per neutralizzare il programma nucleare iraniano sarebbero di gran lunga superiori a quelle provocate con la guerra in Iraq.



Herzog, che cosa ne pensa del modo in cui i colloqui di Ginevra si stanno evolvendo?

La mia prima preoccupazione riguarda il fatto che non è chiaro quale sia la conclusione che il gruppo 5+1 auspica per i colloqui. Ciò che si dovrebbe raggiungere è un accordo provvisorio per sei mesi, ma non è chiaro a che cosa dovrebbe preludere. Quando si parla del reattore al plutonio, non si comprende se il gruppo 5+1 vuole che sia dismesso, chiuso in modo totale o parziale, o trasformato in un reattore ad acqua leggera. Se l’obiettivo è una dismissione totale del reattore, mi domando per quale motivo si stia negoziando la continuazione della sua costruzione.



Come valuta la parte dei negoziati relativa all’arricchimento dell’uranio?

Nei prossimi sei mesi agli iraniani sarà consentito di arricchire l’uranio fino al 3,5%. Non si fermano quindi i loro piani ma ci si limita a rallentarli, e perdipiù non si specifica se nel frattempo Teheran potrà costruire delle nuove centrifughe per l’uranio e testarle. A non essere chiaro è inoltre che cosa prevedrà il piano per quanto riguarda le sezioni nei siti nucleari. Ricordo che gli accordi tra Iran e Aiea che hanno consentito a Teheran di accedere a delle miniere di uranio, nonché agli impianti di produzione di acque pesanti, pur vietando l’utilizzo di un altro sito che si sospetta sia collegato con gli aspetti militari del programma nucleare iraniano.



Ritiene che vada vietato solo l’utilizzo del nucleare per fini militari o anche quello per fini civili?

Ritengo che si debba negoziare la possibilità da parte dell’Iran di continuare un programma di utilizzo del nucleare a fini civili, ma senza l’arricchimento dell’uranio. Quest’ultimo processo dovrebbe essere realizzato al di fuori dei confini nazionali. La chiave è nel consentire all’Iran soltanto una possibilità strettamente simbolica di arricchimento dell’uranio, in piccole quantità e con concentrazioni limitate. Come condizione si deve porre quella di fermare qualsiasi altro processo, con ispezioni capillari. La maggior parte degli stock di uranio già arricchito dovranno inoltre essere trasportati al di fuori dell’Iran.

 

Lei quindi non vieterebbe del tutto l’arricchimento dell’uranio?

La soluzione ottimale sarebbe quella di impedire all’Iran qualsiasi forma di arricchimento dell’uranio. Più realisticamente, si può consentirgli un’attività di questo tipo solo a livelli simbolici, in cambio di ispezioni molto inclusive. Mentre Rohani tratta, Khamenei attacca Israele.

 

E’ un braccio di ferro interno all’Iran o un gioco delle parti?

Ritengo che non vi sia nessun braccio di ferro interno all’Iran. Khamenei ha definito Israele un “cane rabbioso” e altre cose simili, che riflettono l’ideologia del regime. Rispetto a quest’ultima Rohani non si differenzia affatto, ma sta cercando soltanto di adottare una tecnica più astuta per ottenere di alleviare le sanzioni. Alla base del pensiero del nuovo residente non ci sono però delle linee ideologiche differenti da quelle di Khamenei. Anche perché in definitiva chi tira le fila del potere in Iran è il Grande Ayatollah e non il presidente. Sono quindi le parole di Khamenei quelle che contano.

 

(Pietro Vernizzi)