Stamattina, bloccato sulla subway per quaranta minuti a causa di non-so-bene-cosa, come mi capita spesso pensavo a quanto possa essere complicato mandare avanti una città come NYC. Tra qualche giorno questa sarà la preoccupazione quotidiana di Bill de Blasio, 109mo sindaco di questo piccolo, grande mondo.

“Landslide”, una valanga. Questa l’immagine più adeguata per descrivere la sua travolgente vittoria su Joe Lhota, il candidato repubblicano. Il timbro dell’ufficialità manca solo ai dati finali, ma la sostanza è chiara. Con il 73% dei voti de Blasio batte tutti i record e si insedia a Gracie Mansion in maniera trionfale, quasi plebiscitaria. Dopo venti anni di astinenza i democratici riconquistano il trono con un obiettivo di fondo: ridare la città in mano alla gente comune, renderla abitabile anche a chi milionario non è. Dico “abitabile” e non “vivibile”, perché New York è certamente già vivibile, molto più vivibile di quanto possa immaginare chi non ci vive. 



Per “abitabile” intendo proprio la possibilità di abitarci: trovare case con prezzi “umani”, guadagnare un salario dignitoso, avere servizi sociali adeguati ai bisogni. Obiettivi popolari, non tanto intesi per la classe media (in via d’estinzione), ma per i meno abbienti. Obiettivi “popolari” o, come dicono gli oppositori del vincitore, “populisti”, cioè mirati ad illudere la gente. 



Chissà! De Blasio l’ha detto chiaramente: occorre cambiare pagina rispetto a questi venti anni, i vent’anni di Giuliani-Bloomberg, i due che hanno operato un’incredibile trasformazione della città. Ho vissuto tutto in prima persona, ho visto con i miei occhi e toccato con le mie mani. Arrivai qua che Giuliani era stato appena eletto. Times Square (credeteci anche se non l’avete vista) era il quartiere a luci rosse, con tanto di prostitute, protettori e spacciatori, Harlem, Red Hook, Williamsburg, Long Island City (e tante altre aree metropolitane) erano posti dove nessuna persona “normale” voleva passare, figuriamoci andarci a vivere. E andare in giro la sera faceva paura. Oggi non è così. 



Il prezzo pagato? In somma sintesi, il costo della vita. Vivere qui offre tanto, abitarci chiede tanto. Vedremo come il nuovo sindaco cercherà di restituire New York ai newyorkers, vedremo se il suo approccio liberal porterà il sorriso agli esseri umani a far da coppia allo splendore urbano fiorito in questi vent’anni. 

Avevo già scritto un paio di settimane fa che l’ascesa di de Blasio mi metteva in bocca un “sapore ideologico”: tutti per lui, eppure pochi d’accordo su alcuni “nemici” di fondo della sua campagna, come le azioni di polizia (a cominciare dal Capo, fino al cosiddetto “stop and frisk”) e la libertà di educazione (charter schools – scuole gestite privatamente con contributi pubblici).

Questo aspetto c’è, lo vedo ancora. Ma vedo anche che questi sono tempi cupi per la politica. La fiducia in “Washington” è ai minimi storici. Gli americani cercano “persone vere”. Obama, con tutti i suoi limiti, lo era più di Romney, de Blasio più di Lhota. 

Vedremo se un uomo cresciuto comunista saprà conciliare il suo spirito battagliero con il tempio del capitalismo, se saprà combinare la fame di case abbordabili con le decine di grattacieli che ci circondano. Vedremo se il voltar pagina rispetto alle Amministrazioni precedenti diventerà una realtà e se, qualora lo diventasse, i newyorchesi si ritroveranno la New York che vogliono. 

Intanto di là del fiume Hudson vince Chris Christie, governatore repubblicano del New Jersey, riconfermato. I democratici le hanno provate tutte per farlo fuori, ma la gente lo ha votato, sebbene anche in New Jersey come a New York, quasi tutti siano a favore di matrimoni gay ed aborto, mentre Christie ne è un fiero oppositore. Però l’hanno visto all’opera per quattro anni e, come successe per Giuliani e Bloomberg, l’hanno voluto ancora. 

Christie va avanti, de Blasio invece comincia adesso.

Buon lavoro Signor Sindaco!