Accanto al disastroso maltempo che si è abbattuto sugli Stati Uniti, questa settimana i notiziari si sono concentrati sui funerali di Nelson Mandela. L’immagine che gli americani hanno normalmente del resto del mondo (incluse le Hawaii) è di qualcosa di estremamente diverso e inusuale, i cui abitanti sono visti allo stesso modo degli stereotipi con cui gli italiani vengono rappresentati nei film. E’ perciò ancor più interessante l’attenzione dedicata alla vita di Mandela e a ciò che essa può significare per la stessa storia americana.

Ho vivo il ricordo delle riunioni alle quali ho partecipato, insieme ad altri preti, rabbini, ministri protestanti, leader afroamericani, etc., per progettare iniziative e “programmi di protesta” in favore della liberazione di Mandela dal carcere. In generale, tutte queste iniziative hanno avuto fine con la sua liberazione, ma con il passare del tempo Mandela è diventato sempre più l’incarnazione di quella giustizia, compassione e libertà da lui personalmente sofferte e offerte per il suo popolo, poi estese a tutto il mondo, assumendo la statura di un martire nella ricerca della giustizia e della libertà.

Mentre scrivo, quattro presidenti degli Stati Uniti stanno volando verso il Sudafrica per partecipare alle celebrazioni per questo dono che il mondo ha ricevuto.

Nel leggere del suo itinerario dalla violenza alla non violenza nella lotta per la giustizia e la libertà, ho appreso dei suoi contatti con la causa dell’indipendenza di Porto Rico, l’isola colonia degli Usa in cui sono nato.

Coloro che pensano che la violenza sia un metodo accettabile per ottenere l’indipendenza totale dagli Stati Uniti portano come giustificazione che la cultura colonialista imposta ai portoricani impedisce loro di capire in quale situazione siano realmente. Da qui la necessità dell’uso della violenza nella rivoluzione.

In questo contesto si è svolta la storia di Oscar, condannato nel 1981 a 70 anni di carcere per attività sediziose contro gli Stati Uniti e altri reati connessi, condanna che sta ancora scontando e che ne fa il prigioniero politico più a lungo in carcere nel mondo.

Oscar, che è un bravo fotografo e pittore, ha vissuto i suoi primi anni in una piccola città di Porto Rico e poi si è trasferito con la sua famiglia negli Stati Uniti. Ha combattuto in Vietnam ed è stato decorato con una Bronze Star per atti di valore in combattimento. Tornato negli Stati Uniti, si è adoperato come operatore sociale per migliorare le condizioni di vita dei suoi connazionali. A seguito di questa esperienza è diventato membro del FALN (Fuerzas Armadas de Liberación Nacional), un movimento separatista portoricano, diventandone uno dei leader e finendo poi per essere arrestato.

La durata e le condizioni di detenzione di Oscar nelle prigioni americane fanno sì che i nazionalisti portoricani considerino le relazioni degli Stati Uniti con la loro isola come una storia, peraltro largamente sottaciuta, di violazione dei diritti umani di prigionieri politici.

Anche Nelson Mandela è stato un prigioniero politico, per qualche anno in meno rispetto a Oscar, lottando contro il colonialismo e la discriminazione razziale, che è presente anche negli Usa verso i portoricani e altre comunità ispaniche. Non sorprende, perciò, che i nazionalisti portoricani vedano una certa affinità tra le due lotte per l’indipendenza.

Quando, poco dopo il suo rilascio dal carcere, Mandela venne per la prima volta negli Stati Uniti, i leader nazionalisti portoricani cercano di entrare in contatto con lui per chiedere il suo aiuto alla loro battaglia, ma la cosa fu impedita dalle pressioni del governo (che pure aveva appoggiato l’eliminazione dell’apartheid!) e del primo sindaco afroamericano di New York, David Dinkins. Alla fine, riuscirono a far pervenire una lettera a Mandela, che rispose manifestando il suo completo sostegno all’indipendenza di Porto Rico.

Della delegazione ai funerali di Mandela fanno parte anche dei nazionalisti portoricani, ma la questione delle relazioni fra Porto Rico e Stati Uniti non è stata ancora risolta.

Il recente libro sul pensiero politico e l’attività artistica di Oscar descrive anche il suo percorso dalla violenza alla non violenza, dalla violenza al potere della tolleranza, che ricorda la stessa strada percorsa da Nelson Mandela.

Speriamo che questa considerazione finisca per prevalere e che il primo Presidente afroamericano la pensi in modo diverso dal sindaco Dinkins e faccia uscire Oscar dalla prigione.